Il ricordo

venerdì 21 Giugno, 2024

Un anno fa moriva Graziella Anesi. Il fratello Sergio: «Le davano tre anni, ne ha vissuti 67»

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Domani sera a Trento il concerto in suo ricordo a un anno dalla scomparsa. La testimonianza del fratello: «Tanti venivano a trovarla a Piné: insegnava che tutte e difficoltà possono essere superate»

Quando era nata nel 1955, i medici le avevano dato solo tre anni di vita: invece, Graziella Anesi si è spenta solo a gennaio 2023, all’età di 67 anni, dopo una vita di battaglie e determinazione. Originaria di Baselga di Piné, ha lottato per tutta la vita contro l’osteogenesi imperfetta, ma non solo. Ha combattuto per lo sbarrieramento di strade ed edifici e per cambiare il modo in cui le persone disabili sono viste dal resto del mondo. Un impegno che è culminato nella fondazione della cooperativa HandiCrea, che ancora oggi offre assistenza col suo sportello dedicato alla sensibilità. A oltre un anno dalla sua scomparsa, domani alle 20.30 nella sala della cooperazione a Trento si terrà il concerto «Eppure il vento soffia ancora», nato da un’idea di Fausto Bonfanti, in collaborazione con HandiCrea e la famiglia Anesi. Durante l’evento si esibirà Alberto Bertoli (figlio del celebre Pierangelo), che canterà alcune canzoni del padre. In occasione di questo momento, ripercorriamo la storia di Graziella assieme al fratello, Sergio Anesi.
Sergio, cosa può dirci di Graziella e della sua storia?
«Graziella era una persona con disabilità per via di una malattia congenita, l’osteogenesi imperfetta, che in passato era molto più brutale e che oggi si può curare meglio: i bambini che ne erano affetti venivano chiamati “bambini di cristallo”. Graziella ha subito tantissime fratture alla nascita e oltre trenta nei primi mesi di vita. Questo ha fatto sì che i medici le dessero solamente tre anni di vita. La vicinanza della famiglia, dei conoscenti e la sua forza di volontà hanno fatto il resto: è vissuta fino a 67 anni».
E in tutti questi anni è diventata un punto di riferimento per moltissime persone.
«Certamente: lei si è donata agli altri come testimonianza di come una persona con disabilità non sia necessariamente costretta in casa, ma possa invece avere degli ideali che la portano ad agire. Graziella si è inventata un lavoro quando nessuno pensava che potesse farlo: ha dato un grande contributo alla creazione di HandiCrea come socio fondatore, e ha stimolato un’attività di cooperazione che è diventata un punto di riferimento importante per famiglie e istituzioni. Ha lavorato per il ministero della disabilità, oltre ad avere rapporti costanti con le istituzioni trentine: le stimolava a rimuovere le barriere dagli edifici e dalle strade. Ha fatto in modo che in ogni paese ci fossero corriere dotate di pedana, in modo che anche le persone disabili potessero usare i mezzi. Quando Graziella ha iniziato il suo lavoro queste cose non erano la normalità».
Che eredità ci ha lasciato Graziella?
«È stata una testimonianza vera di come le persone con disabilità possano integrarsi in una società che, soprattutto in passato, le teneva isolate. La sua grande innovazione è stata soprattutto quella di cambiare il modo in cui guardiamo la disabilità, senza scadere nel pietismo. Il suo ricordo è ancora vivissimo, non solo qui a Baselga ma nell’intera comunità trentina. Quando è venuta a mancare moltissime persone si sono presentate assieme alla loro famiglia. E questa attenzione c’è ancora oggi: era una figura che era entrata nella normalità delle persone che risiedono qui. Ancora adesso mi viene ricordata la sua enorme disponibilità verso gli altri».
A livello più personale come la ricorda invece?
«Era una persona sempre allegra, anche in tutte le sue difficoltà. Lei doveva dipendere da noi famigliari per molte cose, ma ha affrontato sempre tutto con il sorriso. Lei voleva trasmettere questo suo sorriso agli altri, continuando a perseguire degli obiettivi sempre più alti. La nostra casa a Baselga era sempre aperta: tutti venivano a trovare Graziella, ma non perché fosse una persona disabile. Quando le persone parlavano con lei ottenevano come uno stimolo, la vedevano fare tante cose. Potevano capire che le difficoltà possono essere sempre superate».
Lei sente che ci sia ancora molto da fare per cambiare il modo in cui vediamo la disabilità?
«Ovviamente sì. Anche oggi siamo più portati a guardare alla disabilità con senso di compassione, senza vederla come uno stimolo. Dovremmo impegnarci per fare rientrare la disabilità nella normalità: chi si percepisce come normale a volte non è davvero in grado di concepire la disabilità. Le cose cambiano quando ci si ritrova in difficoltà a causa dell’età oppure per via di un incidente. Dobbiamo imparare a pensare alla disabilità prima di esserne coinvolti in prima persona. Guardare agli altri con un occhio di attenzione e normalità. C’è bisogno di un processo di crescita collettiva».
Oltre il concerto di domani, state lavorando ad altre iniziative in ricordo di Graziella?
«Stiamo lavorando a un libro che riporti una serie di testimonianze di persone che hanno conosciuto Graziella, incentrato sui temi della disabilità, dello sbarrieramento e sopratutto sugli ideali che lei portava avanti. Puntiamo a terminarlo entro la fine dell’anno: in quell’occasione valuteremo se sarà possibile fare anche qualcos’altro. Stiamo valutando di creare una borsa di studio per coinvolgere i giovani universitari su questi temi, che spesso sono poco trattati. Tutto però è ancora in fase di costruzione».