l'intervista
lunedì 2 Dicembre, 2024
di Lorenzo Fabiano
Il tennis italiano non fa distinzioni in quanto a parità di genere: maschi e femmine sul tetto del mondo, tutti felici e contenti. È stata una settimana epica, quella di Malaga, da tramandare ai posteri con i trionfi delle ragazze nella Billie Jean King Cup e dei ragazzi in Coppa Davis. Insomma, l’Italia del tennis è un asso pigliatutto, e a un uomo come Domenico Procacci, uno dei più creativi e liberi produttori cinematografici italiani (fondatore della Fandango), ma anche grande appassionato di tennis tanto da ideare, produrre e dirigere una fortunatissima serie tv sull’epopea della squadra italiana che negli anni Settanta conquistò la prima Davis della nostra storia, ed essere editore della rivista di settore più antica al mondo, un momento così pare un sogno: «Abbiamo il giocatore numero 1 al mondo, che ha vinto quest’anno due Slam e le Atp Finals; un altro nei primi venti che alle olimpiadi di Parigi ha conquistato la medaglia di bronzo; una ragazza che è numero 4, ha fatto due finali Slam e in doppio ha vinto l’oro olimpico; in una settimana abbiamo portato a casa Billie Jean King Cup e Coppa Davis. Ragazzi, ma che vogliamo di più?».
Seconda Coppa Davis di fila; lo scorso anno fu più sofferta, quest’anno l’impressione è che eravamo così forti che potevamo solo gettarla al vento. Che ne pensa?
«Era nell’aria. Per capirci, Griekspoor, il giocatore olandese più alto in classifica che contro Sinner ha fatto tra l’altro una gran partita, è il numero 40 del ranking; l’Italia, in questo momento, ha cinque giocatori tra i primi 40 al mondo, solo gli Stati Uniti possono dire altrettanto, ma il numero 1 al mondo ce l’abbiamo noi. E di giocatori Top Ten a Malaga ne sono arrivati solo quattro; Sinner, Alcaraz, Fritz e De Minaur. Detto ciò, la Davis è sempre una cosa molto particolare e può succedere di tutto. Lo scorso anno la semifinale con la Serbia, appassionante il match tra Djokovic e Sinner, fu durissima; quest’anno l’Italia era nettamente superiore a tutte le altre»
Lei fa una serie tv come «Una Squadra», rileva «il Tennis Italiano», la più antica rivista di tennis al mondo, e che succede? Riportiamo a casa la Coppa Davis dopo quasi mezzo secolo, abbiamo il miglior giocatore al mondo, e le ragazze vincono pure loro. Scusi eh, ma dire che lei ha fiuto è poco, non le pare?
«Diciamo che abbiamo avuto un buon timing… (ride, ndr). Era però prevedibile che Sinner fosse in grande progressione, meno che potesse salire così in fretta e in maniera così perentoria fino ad arrivare così presto a essere il miglior giocatore del mondo; non era facile nemmeno prevedere che con lui si creasse un movimento del genere, con un numero di giocatori di così alto livello, cinque nei primi 40 della classifica Atp, Sinner, Musetti, Cobolli, Berrettini e Arnaldi, (senza contare che Darderi è numero 44 e Sonego numero 53, ndr) come mai abbiamo avuto prima in passato».
Due parole su questa Davis vanno spese per Matteo Berrettini: un anno fa era in panchina a soffrire e a tifare per i suoi compagni, quest’anno è stato grande protagonista in campo.
Questa Davis è tanto sua, ha giocato benissimo. Si vede che quando gioca in Davis riesce a trovare energie residue. Tanta ammirazione dal punto di vista umano, perché è bello vederlo giocare così bene dopo tutti gli infortuni e gli stop-and-go che ha avuto. Credo possa tornare tra i primi dieci al mondo. Al contempo, non va penalizzato troppo Musetti, che ha perso il primo match nei quarti con l’Argentina senza mai riuscire ad entrare in partita: il tennis fa questi scherzi portandoti a non riuscire ad esprimere il tuo gioco. Vorrei ricordare che lui quest’anno ha fatto la semifinale a Wimbledon, ha conquistato la medaglia di bronzo per l’Italia alle Olimpiadi di Parigi dove è salito sul podio con due giocatori come Djokovic e Alcaraz, è stabilmente nei primi venti giocatori al mondo e credo che anche lui possa entrare nei primi dieci».
Gioca un tennis stupendo, Musetti, antico e romantico se vogliamo…
«Non abbiamo più Federer, e quel tennis così bello da vedere non lo gioca quasi più nessuno ormai. Sono rimasti lui e Dimitrov a regalarci colpi di rara bellezza e fantasia. Teniamoceli stretti».
A quanto pare, siamo entrati in una nuova era tennistica, caratterizzata dalla rivalità tra Sinner e Alcaraz. Lei come la vede?
«Lo hanno detto in tanti, e anch’io la penso così: quando raggiunge il suo picco, Alcaraz può battere Sinner, ma Sinner è più costante e regolare nell’arco della stagione».
Un terzo uomo?
«Zverev, ma sta uno scalino sotto».
Bistrattata e maltrattata in un calendario sempre più fitto, ma la Davis è sempre la Davis e offre emozioni uniche.
«È la più importante competizione a squadre che abbiamo al mondo; vero che è cambiata e ha perso fascino pagando dazio a una formula più rapida e in linea con le esigenze televisive, ma è tutto in piena evoluzione e il prossimo anno la formula cambierà di nuovo (si torna al passato, con una sfida a eliminazione diretta da giocare con la formula casa-o-trasferta. In questo modo il fattore campo torna a incidere, come è sempre stato in Davis. Rimane la Final Eight, ndr). Passa chi vince tre incontri su cinque, quattro singolari e un doppio, come una volta, e credo che l’Italia con la qualità dei giocatori che può mettere in campo mi pare difficile non faccia almeno tre punti».
Frase cult della settimana a Malaga: «Sinner ha cambiato anche modo di camminare. Cammina come John Wayne quando entra nei saloon e dice: ‘C’è qualche problema qui?’».
«Ahahah. L’ha detta Adriano (Panatta, ndr)?».
Certo. E se Sinner si muove come John Wayne, lei a chi lo farebbe interpretare Sinner in un ipotetico film su Sinner?
«A Jannik stesso. Stando a quanto vedo negli spot televisivi, se la cava benissimo».
Adriano Panatta e Paolo Bertolucci, durante l’ultima puntata del podcast, di sua produzione, «La Telefonata» han detto che, dopo «Una squadra», lei starebbe ora pensando a un docufilm sulla squadra di Coppa Davis attuale. Che c’è di vero?
«Nulla. In un’intervista ho solo detto che anche questa squadra meriterebbe di essere raccontata in un docufilm. In “Una squadra” abbiamo raccontato il gruppo che negli anni Settanta portò per la prima volta nella storia la Coppa Davis in Italia; la differenza tra quel gruppo e quello attuale sta nell’entourage dei tennisti attuali; è molto presente e porrebbe inevitabilmente una serie di filtri che renderebbe il racconto meno immediato e quindi dal mio punto di vista meno interessante. I protagonisti di “Una squadra”, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti, Tonino Zigarelli, e Nicola Pietrangeli, hanno visto per la prima volta il docufilm solo quando è uscito al cinema e poi in televisione. Da parte loro abbiamo avuto tanta fiducia e zero condizionamenti, quindi. Non so se i team dei giocatori attuali ci permetterebbero di fare altrettanto».
Dopo «Una Squadra» ora siete nei cinema con «La Valanga Azzurra», docufilm da lei prodotto con la regia di Giovanni Veronesi. Sempre di anni Settanta si parla, come dire che Fandango fa archeologia dello sport. È d’accordo?
«In questi due casi sicuramente sì. Diciamo che non vorremmo restare ancorati per sempre agli anni Settanta: in programma c’è un progetto che riguarda lo sport di oggi, ma oltre a questo non le posso dire altro».