L'editoriale

venerdì 5 Luglio, 2024

Un Paese senza dribbling

di

La triste avventura degli azzurri di Spalletti agli Europei mette in luce i problemi dell'Italia, un paese che non crede nei giovani, fugge dalle responsabilità e che non ama prendersi rischi

Se la nazionale di calcio è lo specchio del paese, la disastrosa avventura degli azzurri e di Spalletti agli ultimi Campionati europei di calcio ha detto tre cose: che non siamo un paese per giovani, ma uno in cui si scappa dalle responsabilità e che odia prendersi rischi.
Il rapporto di Luciano Spalletti con i giovani della sua nazionale è apparso strano se non conflittuale, fin da subito. I più giovani parlerebbero di un comportamento «cringe», per chi non mastica il loro slang basti dire che è stato imbarazzante. A cominciare dalla crociata del Ct contro la playstation, uno dei primi leitmotiv dell’avventura azzurra del tecnico toscano, poi proseguita con l’obbligo di non ascoltare la musica con le cuffie e di non stare troppo al cellulare.
Così mentre Spalletti assumeva i panni del nonno moralizzatore, affibbiando ai giocatori quelli dei giovani indolenti, Lamine Yamal e Nico Williams nel ritiro della nazionale spagnola non si facevano invece problemi a postare sui social video in cui cantavano, ballavano e giocavano anche alla playstation. Chissà, magari provando prima, con i loro alter ego virtuali, gli stessi dribbling con cui poi avrebbero fatto impazzire il povero Di Lorenzo e tutta la nazionale italiana. Proprio i due giovani fenomeni spagnoli sembrano il simbolo di quello che l’Italia non vuole proprio essere: giovane, sfacciata e felice. In Italia il discorso calcistico, ma in generale quello attorno ai giovani, è spesso ammantato di parole come «umiltà» e «gavetta», come se le nuove generazioni dovessero chiedere «scusa» e domandare «permesso» per entrare in un mondo degli adulti, in cui poi devono conformarsi alle norme già esistenti, guai aggiungere un elemento di novità. Ma senza la vitalità e l’immaginazione dei giovani dove può andare un paese, pardon una nazionale?
Il Ct è apparso quindi più preoccupato dai costumi che dalla tattica. Impressione che si è poi dimostrata veritiera, considerato che la nazionale, dopo il successo con l’Albania, ha perso con la Spagna, pareggiato in extremis con la Croazia, qualificandosi alla fase a eliminazione diretta, per poi uscire subito, portata a spasso per 90 minuti dalla Svizzera, capace di imporsi per 2 a 0. In totale, fatta eccezione per la prima partita, la nazionale italiana in 270 minuti ha segnato un solo gol, subendone 4 e senza mai sembrare in controllo della partita. La nazionale è parsa spesso in confusione senza il pallone e incapace di gestirlo quando ce lo aveva. A poco sono valse le magliette con la scritta «siamo tutti numeri 10» regalate da Spalletti ai giocatori, forse sarebbe servita qualche indicazione tattica in più. Una disfatta su tutta la linea a cui però non è seguita alcuna autocritica da parte del Ct. Spalletti ha parlato a lungo di giocatori che giocavano «sotto livello», nel senso che avevano deluso rispetto alle aspettative, e che «mancava la gamba», indicando che fossero arrivati alla competizione fuori forma. Eppure guardando le partite più che una nazionale che non correva è sembrata una nazionale che correva a vuoto, incerta nel pressing che avrebbe dovuto essere preparato a tavolino sulle peculiarità della costruzione con il pallone degli avversari. Alla mancata assunzione di responsabilità di Spalletti fa eco quella del presidente della Federazione italiana gioco calcio Gabriele Gravina. E se per il tecnico c’era almeno la scusante del poco tempo avuto a disposizione, e del fatto di essere appena salito a bordo di questa nave che affonda, Gravina è stato ora il presidente di due disastri calcistici consecutivi, l’europeo e la mancata qualificazione ai Mondiali del 2022. L’impegno con cui ci si adopera per non assumersi alcuna responsabilità è un’altra caratteristica tutta italiana. Assumersi responsabilità che non significa necessariamente dimettersi, ma riconoscere i propri errori, il primo passo per imparare e migliorare. Proprio ciò che Spalletti e Gravina non hanno fatto ed è questa la cosa più inquietante. Sarebbe importante prendersi responsabilità invece che andare a caccia del colpevole, anche questa un’ossessione tutta italiana, perché, se non capiamo nemmeno gli errori commessi, come si fa a trovare un colpevole e soprattutto a imparare?
C’è un dato statistico che risalta nella prestazione degli azzurri a questo Europeo: l’Italia è la nazionale che ha tentato ed eseguito meno dribbling di tutti, tolta la Scozia. Un dato confermato anche dalla Serie A, campionato in cui si dribbla pochissimo. Sembra anche questa una cartolina perfetta dell’Italia, un paese in cui chi tenta il dribbling, prova la giocata o si prende un rischio finisce in panchina. Perché, nel calcio, come in tutto il resto, l’imperativo è: «Prima non prenderle». Non si tratta nemmeno di un problema attuale, anche quando avevamo Del Piero, Baggio e Totti si discuteva su chi lasciare in panchina. «E che problema c’è? – avrebbe risposto probabilmente un tecnico spagnolo o brasiliano – Giocano tutti insieme». I Nico Williams del mondo crescono incitati a provare il dribbling, pensando che ne sbaglieranno 10 oggi, ma riusciranno ad eseguirne 20 domani, credendo che la ricompensa potenziale di quel rischio vale più della sicurezza garantita dalla rinuncia a provarci. Forse è questo allora quello che ci dovremmo augurare per questa nazionale e per questo paese. Riscoprire la gioia del dribbling, il brivido della giocata e dare semaforo verde a chi ha voglia di provarci: su un campo da calcio, ma anche in politica e nella società. Solo così saremo davvero «tutti numeri 10».