Ambiente

venerdì 18 Agosto, 2023

Undici giorni in bici tra vette, smog e le storie di chi resiste

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Si è conclusa la prima parte del progetto «Lìmit» che racconterà crisi climatica, turismo di massa e spopolamento delle comunità alpine attraverso il viaggio, sostenibile e su due ruote, di Emanuele Rippa e Tommaso Gislimberti

«Abbiamo trascorso undici giorni in sella alla bici, tra ripide salite, tornanti e altrettante discese, e alcune tappe storiche del Giro d’Italia. Dapprima immersi nel silenzio e nella solitudine di incredibili paesaggi alpini, poi circondati da auto, pullman e tanto smog. Tra letti di fortuna, bivacchi, due notti in Van e una tendata finale di fronte alle Tre Cime di Lavaredo, siamo giunti al termine della prima fase del progetto Lìmit, la spedizione vera e propria». Così Emanuele Rippa e Simone Gislimberti, affiancati dal videomaker Stefano Stroppa, nonché da Mario Pizzini e Tommaso Gislimberti, guidatori del van di supporto e trasporto del materiale tecnico, raccontano la loro esperienza sulle Dolomiti. «È stata un’avventura incredibile che, nonostante il tempo avverso, tra vento, freddo, pioggia e nevischio, ci ha permesso di portare a casa circa 1,5 terabyte di riprese video». Filmati e interviste che nei prossimi messi diventeranno un documentario (per cui è ancora aperta la campagna di crowdfunding sulla piattaforma di Produzioni dal basso) che racconterà la crisi climatica e le altre minacce che mettono in pericolo uno dei sistemi montuosi più famosi al mondo. «Crediamo che un documentario che indaghi le sfide che minacciano le comunità alpine – raccontano – sia fondamentale per stimolare il dibattito e aumentare la consapevolezza collettiva, anche attraverso la partecipazione a festival di cinema di montagna e incontri nelle scuole».
Il viaggio
Emanuele Rippa e Simone Gislimberti, seguiti dalla troupe cinematografica, sono partiti da Trento il 31 luglio per dirigersi nel cuore delle Dolomiti e testimoniare, attraverso un viaggio in bicicletta durato nove giorni, la situazione nelle terre alte. Crisi climatica, turismo di massa, spopolamento delle comunità alpine e conseguente rischio di perdita dell’attività agrosilvopastorale sono solo alcune delle più grandi sfide che chi abita la montagna si troverà ad affrontare negli anni a venire. Una situazione che richiederà scelte drastiche, dove al benessere economico, per buona parte proveniente da turismo di massa e sfruttamento della montagna, si contrappongono la necessità di mantenere un contatto con il territorio, la possibilità di costruire una famiglia o di avviare un’attività in simbiosi con la natura. L’interrogativo che i due giovani si sono posti e che è divenuto il filo rosso del loro viaggio e del documentario che ne uscirà è: esiste un limite oltre al quale sarebbe meglio non addentrarsi? Per rispondere a questa domanda, lungo il percorso hanno incontrato vari esperti che da anni si occupano del tema. «La prima tappa si è conclusa al lago di Stramentizzo, un bacino artificiale dalla storia a dir poco ambigua e nefasta per le comunità locali – raccontano –. Interessante è stata l’intervista a Robert Brugger, presidente delle Asuc trentine, nonché presidente di quella di Rover Carbonare, il territorio che ospita la diga ma che da essa non trae alcun beneficio». Mauro Iob ha poi parlato loro degli usi civici. «Quello dei domini collettivi – spiegano – è un tema di vitale importanza per le comunità di montagna che si occupano dell’attività agrosilvopastorale prendendosi cura dell’habitat circostante. Sempre più spesso la montagna viene vissuta dai turisti come luogo stereotipato, frutto di un immaginario collettivo che negli anni ha costruito un’immagine di montagna lontana dalla sua vera essenza. Non devono essere le comunità alpine ad adeguarsi alle esigenze e ai comfort richiesti da turisti in cerca di esperienze nuove».
«Il turismo ha cambiato il Puzzone di Moena»
Tra i vari incontri, quello con la casara della Conad di Pozza di Fassa che ha raccontato loro come il Puzzone di Moena sia ormai scialbo, senza il suo caratteristico odore, perché «i turisti vogliono sapori delicati e non vogliono che il frigo puzzi». «Questo – affermano i due viaggiatori – è ciò a cui si va incontro se il turismo vuole vivere la montagna attraverso una prospettiva urbana. Il rischio è la perdita di tutte quelle conoscenze che si sono tramandate di generazione in generazione, e la trasformazione dei paesi di montagna in villaggi turistici vissuti solo in stagione». Una grossa parte dell’economia locale gira proprio attorno alle discipline invernali. «Mega impianti che continuano a espandersi, centinaia di chilometri di piste, turisti provenienti da tutto il mondo raggiungo le dolomiti per le vacanze. Persino i giochi olimpici invernali 2026, che si terranno, in parte, in Val di Fiemme e a Cortina, rischiano di causare impatti indesiderati sul territorio con strascichi a lungo termine». I viaggiatori ne hanno parlato con Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness: si è parlato di espansione degli impianti sciistici, di grandi eventi e sfruttamento delle risorse, di spreco e cementificazione. «Nessuno è contrario all’evento, che anzi, rende onore alle nostre valli e potrebbe valorizzarle ulteriormente – chiariscono i due –. Certo è che espandere impianti, se non addirittura costruirne di nuovi sembra uno spreco. Esiste un’alternativa, quella delle cosiddette olimpiadi diffuse: fare le gare dove già esistono impianti. Costeranno circa cinque miliardi di euro senza considerare il consumo di suolo e l’impatto sull’ambiente». Un esempio ne è la futura pista da bob che verrà realizzata a Cortina. Il paese veneto ospita già una vecchia pista, ormai inutilizzata e in rovina, ma per le olimpiadi si è deciso di dotare Cortina di un nuovo impianto che costerà 124 milioni di euro benché in Italia esistano solo 32 sportivi professionisti che praticano bob.
La tappa iniziata a Canazei con Casanova è così finita alla pista da bob di Cortina, passando prima per Passo Selva e Passo Gardena. Qui è stata intervistata la scrittrice e attivista Sara Segantin che ha parlato di Vaia e altri eventi climatici e ha sottolineato l’importanza di attivarsi e collaborare assieme per guardare al futuro con ottimismo. L’ultimo giorno si è diviso fra strada e montagna. «Al lago di Misurina il traffico di Madison avenue. La strada bloccata, i parcheggi stracolmi, code per entrare e per uscire. Flotte di turisti che si fanno i selfie e si godono il caotico spettacolo. Poche ore dopo, invece, la profondità del cielo, l’immensità e la grandezza delle rocce, il silenzio immobile della notte alle pendici delle Tre Cime di Lavaredo». Dopo la nottata trascorsa in tenda il ritorno a Trento, sempre rigorosamente in bici.