L'esperto

venerdì 21 Marzo, 2025

Usa, Russia e Ucraina. L’analisi di Spannaus: «Trump esagerato ma sta ottenendo ciò che vuole»

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Il professore universitario e voce di Radio24: «Ha cambiato l’approccio di Europa e Zelensky. Dazi? Non ha pazienza»

Due mesi di Donald Trump, un tornado che pare non abbia alcuna intenzione di affievolirsi e che porta effetti tangibili sullo scenario internazionale (soprattutto sull’Europa, che il tycoon vede col fumo negli occhi). L’attesa telefonata con Putin c’è stata, e ora al di là dei comunicati delle rispettive cancellerie, si tratta di capire se sia stata davvero un primo positivo passo verso una soluzione stabile e pacifica del conflitto russo-ucraino o se, invece, non si sia tradotta nella montagna che partorisce un topolino. Ne abbiamo discusso con Andrew Spannaus, voce di Radio24, giornalista e analista politico americano, noto per aver anticipato la rivolta populista negli Stati Uniti e in Europa. Commenta la politica americana e le trasformazioni dei rapporti strategici mondiali. È docente all’Aseri/Università Cattolica di Milano, ed è stato più volte Consigliere delegato dell’Associazione Stampa Estera di Milano.
Spannaus, That’s America…dal titolo del suo podcast con Alessandro Milan a Radio 24: ecco, cos’è l’America di Donald Trump?
«Trump riflette una volontà di rivincita rispetto a anni di globalizzazione e di cambiamenti economici e culturali che hanno creato difficoltà per la popolazione del Paese. Lo fa in un modo decisamente esagerato rispetto alle necessità; pensa, insomma, di buttare il bambino con l’acqua sporca utilizzando metodi che spesso creano più problemi che altro».
Ormai ci stiamo abituando alle sue sparate quotidiane; ci è o ci fa, The Donald?
«Ci è, ci è. Sa bene che facendo queste sparate e seguendo i suoi istinti raggiunge gli obiettivi e ottiene comunque degli effetti sugli altri. Lo vediamo ad esempio con la Russia e l’Ucraina: piaccia o no, il metodo sta funzionando. Ha cambiato l’approccio sia di Zelensky che dell’Europa facendo accettare a tutti l’idea di trattare per un cessate il fuoco. Si fida di se stesso, della sua personalità, e del suo modo di fare».
Che lettura dà della telefonata tra Trump e Putin?
«È un passo in avanti, sebbene non sarà così facile per l’Ucraina accettare le condizioni. Dimostra che c’è stato un cambiamento da parte russa, anche se Putin è di fatto in difficoltà ad accettare di fermarsi. Primo, perché deve completare la ripresa del Kursk e avere quindi pieno controllo del territorio russo; secondo, perché in Russia si solleveranno parecchie critiche se dovesse chiudere la guerra senza aver guadagnato in pratica nulla se non territori già annessi. Al di là di questo, la telefonata è certamente un primo passo nella trattativa, ma le condizioni poste dalla Russia sono più complesse di quel che si sperava».
Tagliata fuori dal negoziato. l’Europa lancia il programma di riarmo: significa che dobbiamo fare da soli?
«L’Europa è fuori perché la sua prima reazione all’iniziativa di Trump per una trattativa con la Russia era di contrarietà. Trump non l’ha quindi coinvolta e ha proceduto da solo. L’Europa ha capito che dovrà garantire la sicurezza in modo più diretto; io non penso debba far da sola, né tantomeno penso a un distacco dagli Stati Uniti. L’alleanza atlantica e duemila anni di civiltà occidentale non si rompono in due mesi di presidenza Trump. L’Europa avrà una responsabilità più diretta all’interno, speriamo, di un eventuale accordo: gli Stati Uniti non vogliono essere coinvolti direttamente anche se dovranno fornire sistemi avanzati aerei, mentre l’Europa sarà più impegnata sul terreno».
Non bastasse, Trump ha scatenato la guerra dei dazi.
«E questo è un altro paradosso del metodo Trump. Dopo decenni di globalizzazione delocalizzazione, il suo obiettivo è di ricostruire la capacità produttiva degli Stati Uniti. Ma lo fa senza pazienza, e in questo modo rischia di far danni. Anche l’Europa deve però pensare a un suo modello, perché negli ultimi anni ha perseguito politiche poco efficaci che hanno dato luogo al suo interno, come negli Usa, a proteste populiste di destra. Si dovranno raggiungere degli accordi. L’Europa mostra timidi passi verso un maggior realismo, ma la vera questione è di ragionare su come stare in questo mondo post globale di competizione tra le grandi aree del pianeta».
La posizione dell’Italia; Giorgia Meloni si muove su un’asse di equilibrio per tenere uniti Europa e America. Lei che ne pensa?
«Prima parlava poco e comunque esprimeva, come continua a esprimere, il sostegno all’Ucraina; ha anche pubblicamente difeso il presidente Mattarella dopo delle dichiarazioni secondo me discutibili. Poi, spinta dagli altri partner europei, ha reso esplicita la sua volontà di fare da ponte con gli Stati Uniti per non abbandonare la speranza di continuare a lavorare a fianco dell’America. È un atto di equilibrismo, ma penso che vada perseguito perché l’idea che l’Europa si stacchi dagli Stati Uniti la trovo superficiale. È una sorta di scusa per giustificare alcune politiche e mi piacerebbe che i politici europei fossero un po’ più onesti nel dichiarare ciò che vogliono realmente fare senza dover prendere Trump come scusa ogni volta».
Trump tira dalla sua parte Putin per far blocco contro il grande nemico dell’America, la Cina. Se quest’ultima, approfittando della confusione che imperversa, dovesse invadere Taiwan, che succederebbe secondo lei?
«Ogni recente presidente americano, lo aveva già spiegato Barack Obama nel suo secondo mandato parlando della svolta verso l’Asia, spingeva verso un riavvicinamento con la Russia per non lasciarla in un’alleanza troppo stretta con la Cina. Nessun presidente ci è però finora riuscito, per resistenze interne sia in America che in Russia. Con Trump non cambia la direzione, cambia semmai il modo, decisamente più ruvido, di perseguire questo obiettivo. La Cina potrebbe approfittarne, anche se i cinesi sono tendenzialmente molto cauti nel modo di procedere. Più passa il tempo, più diventa difficile per la Cina approntare un’iniziativa per riprendere Taiwan. È una situazione rischiosa: per la Cina Taiwan è territorio cinese, per l’Occidente Taiwan ha tutto il diritto all’autodeterminazione. È un contrasto non riconciliabile, e quindi non resta che continuare a parlarsi onde evitare pericolose fughe in avanti».
Con siffatti scenari, lei è ottimista o pessimista?
«Sono sempre stato un ottimista. E lo sono anche adesso con Trump, perché dopo quarant’anni in questo contesto globalizzato post-industriale i cambiamenti siano necessari. Trump mi preoccupa di più all’interno degli Stati Uniti, dove rischia di aprire una crisi costituzionale per via della sua volontà di agire da presidente senza freni».