L'intervista

martedì 15 Agosto, 2023

Vent’anni di Bastard Sons of Dioniso: «Mtv ci bandì. I Green Day ci fecero i complimenti. Il segreto? I nostri lavori in falegnameria, officina e come perito»

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Jacopo Broseghini ricostruisce il percorso insieme: «Iniziammo in una baita. Lasciare Sony fu una scelta di libertà»

Riproponiamo una delle interviste più apprezzate nel corso del 2023 dalle lettrici e dai lettori del T.

Da Ferragosto 2003 a Ferragosto 2023: vent’anni di Rock n’ roll per i The Bastard Sons Of Dioniso. Nel giorno in cui la nota band trentina festeggia il suo ventesimo compleanno artistico, abbiamo incontrato il cantante e bassista Jacopo Broseghini che – impegnato assieme ai compagni Federico Sussudello e Michele Vicentini nel tour estivo organizzato per l’occasione – ci ha raccontato in una chiacchierata a 360 gradi la loro storia di questi due decenni. Dai primi passi musicali «tra i banchi di scuola e la baita utilizzata come sala prove» ai «segreti» che hanno permesso al gruppo di rimanere unito in questi anni, e dal secondo posto conquistato a X Factor 2009 alla coraggiosa scelta di interrompere il rapporto con la Sony Music, per finire con un particolare «scambio di palcoscenico» con i Green Day e una «bella chiacchierata» con i Måneskin.

Jacopo Broseghini, Michele Vicentini e Federico Sassudelli all’inizio della loro avventura artistica

Jacopo Broseghini, partiamo dal tour con cui state festeggiando i vent’anni di carriera.
«Direi che sta andando molto bene. Da quando siamo partiti a giugno posso dire che ci stiamo divertendo tantissimo: abbiamo condiviso il palcoscenico, nelle varie date, con gruppi storici, tanti amici e con il nostro pubblico. È una festa prolungata che volevamo regalarci per il nostro ventesimo compleanno che cade proprio oggi e per il quale ci siam fatti un altro importante regalo: il singolo “Il tuo tesoro”, realizzato assieme al coro della Sat».
Una vera e propria chicca musicale che unisce tradizione e Rock n’r roll.
«È un pezzo nato quattro anni fa e inserito nel nostro ultimo disco, che però con questa versione vede una chiusura del suo cerchio: noi ci sentiamo molto trentini e questa collaborazione, avvenuta anche grazie alla grande disponibilità del coro, è frutto proprio di questo aspetto. Nel brano originale erano presenti già dei cori femminili e abbiamo pensato quindi a questa possibilità dai tratti più “epici”, che ha ricevuto inoltre grande apprezzamento da parte del pubblico».
Tornando a voi, come racconterebbe questi due decenni di musica?
«Pensi che ci siamo conosciuti alle superiori e proprio quel giorno invitai Federico e Michele nella baita che usavo come sala prove. È lì che nacque la prima canzone che si intitolava “22” e che ha assunto un valore quasi profetico, dal momento che nel 2022 sono diventato papà. Tornando alla domanda, siamo partiti con alla base l’idea di divertirci e tuttora è così, e questo aspetto può essere la definizione perfetta per il nostro percorso».
E poi è arrivata la televisione, con X Factor che vi ha resi noti al grande pubblico.
«In un periodo in cui gli smartphone e i social praticamente non esistevano, era difficile uscire dai propri confini e quell’opportunità ci servì moltissimo per raggiungere con la nostra musica l’Italia intera: pensi che arrivammo a X Factor per puro caso, e all’inizio non volevamo neppure andare. Partimmo con poche aspettative ma poi riuscimmo a portare in quel contesto nuovo il nostro modo di essere e la nostra musica molto legata a quel teatro greco che è racchiuso nel nostro nome».
E da quel momento la storia è nota: il contratto con la Sony, «L’Amor Carnale» disco d’oro con oltre 40.000 copie vendute e il grande successo. Poi nel 2011 avviene la rottura con l’etichetta, cosa accadde?
«È molto semplice: eravamo molto apprezzati ma loro erano abituati ad avere a che fare con artisti “plasmati” dal percorso del talent a cui affidare poi delle canzoni, mentre noi eravamo autori con un’identità già costruita. Ci siamo quindi detti “se non ci fanno fare le cose che ci piacciono la cosa non può funzionare” e così preferimmo essere chiari e decidere di essere liberi: molti probabilmente non capirono questa scelta, ma se dopo vent’anni siamo ancora qui è forse anche merito di quella decisione».
A proposito di libertà, colpisce il fatto che spesso avete dichiarato di essere liberi di suonare quello che volete proprio perché non dipendete dalla musica.
«Federico ha sempre avuto una falegnameria di famiglia e tuttora lavora lì, Michele ha un’officina e io per anni ho avuto uno studio di registrazione mentre ora lavoro come perito, ambito in cui ho studiato. Quest’indipendenza, da noi stessi e dalla musica, è la ricetta che ci ha permesso di rimanere uniti e di continuare a dedicarci alle nostre canzoni, di fare dei bei concerti e soprattutto di continuare a mantenere la nostra originalità suonando ciò che ci piace».
Parlando della vostra evoluzione artistica, com’è cambiato il vostro approccio alla composizione?
«Noi siamo sempre stati principalmente “performer della fatica di suonare”, nel senso che più qualcosa è difficile da eseguire e più siamo felici: un continuo metterci alla prova insomma. Per quanto riguarda i nostri testi, sempre molto ridotti in pieno stile americano, abbiamo sempre cercato di condensare al meglio il concetto, anche se le nostre parole hanno sempre un doppio o triplo significato. Ne è un esempio proprio la canzone “Il tuo tesoro” di cui si parlava poco fa: scritta con un significato personale, ha assunto varie interpretazioni. Pensi che l’Associazione Donatori di Midollo Osseo, di cui faccio parte come donatore, identifica quel tesoro proprio in quello che abbiamo dentro e che viene donato al prossimo».
Quello che è rimasto immutato è il fatto di essere «nati per il live».
«Esatto, il live è il momento in cui tutti gli sforzi fatti trovano piena realizzazione. Quando ci siamo formati volevamo girare l’Italia per suonare e divertirci: tutto nasce proprio da quella dimensione che crea un’unione unica tra musicisti, tecnici e il pubblico».
A proposito di live, molti ricordano una vostra «storica» protesta ai Trl Awards.
«In quell’occasione “litigammo” con Mtv perché ci chiesero di suonare in playback – e quello fu l’unico nostro concerto fatto in quel modo – e così decidemmo di mandare i ragazzi della Sony ad acquistare della pellicola trasparente con cui ricoprimmo i nostri strumenti: quando salimmo sul palco ci dissero che sarebbe stata l’ultima volta lì per noi».
In contesti dove la musica live era reale, avete affiancato alcuni tra i più grandi nomi al mondo. C’è un ricordo o un artista che porta dentro?
«Le racconto due episodi che parlano da soli e che mi sono rimasti dentro: quando abbiamo aperto a Ben Harper e Rober Plant, incrociai quest’ultimo che saliva sul palcoscenico e lo salutai con un cenno della testa di quelli che si fanno agli amici che conosci da una vita, e lui fece lo stesso. Qualcosa di simile accadde con i Green Day, i quali mentre ci scambiavamo il palcoscenico ci dissero “grande concerto, ragazzi”».
Cosa ne pensa del «fenomeno Måneskin», transitati anch’essi da X Factor?
«Li abbiamo conosciuti anni fa a Roma, a Trastevere, e abbiamo fatto con loro una bella chiacchierata. Non avevano ancora fatto il grande passo e ci siamo rivisti tantissimo in loro perché erano un gruppo di amici che suonavano e si divertivano. Siamo molto felici per il loro successo e quello che spero, ma credo davvero che sia così, è che continuino a fare quello che li diverte».
Una curiosità: che musica ascoltano i Bastard?
«Il nostro “fornitore” di musica è Federico, l’unico di noi ad avere Spotify (ride, ndr) e che ci propone interminabili playlist sempre aggiornate. Michele invece è più incentrato sul genere stoner e su gruppi come i Foo Fighters. Mentre io sono più fedele a gruppi come gli Iron Maiden e ad artisti come Eddy Grant, di cui adoro la canzone “Electric Avenue”».
Prima di salutarla, come immagina i vostri prossimi vent’anni?
«Vorrei che fossero esattamente come quelli appena trascorsi: all’insegna della musica e con la voglia di continuare a suonare e, quando ci verrà l’ispirazione, di sperimentare e di fare canzoni nuove».