terre altre

sabato 28 Dicembre, 2024

Viaggio nella valle del Bondai dove il salmerino diventa un presidio. La sindaca Rigotti: «Comunità preoccupata per lupi e orsi»

di

La presenza dei grandi carnivori mette a rischio gli allevamenti. Rigotti: «L'anno scorso mi hanno fatto visita sei volte. E ogni volta hanno causato danni. La Provincia? Ti indennizza con un pugno di lenticchie»

Non c’è Natale che tenga o Capodanno che venga per chi lavora nel mondo del cibo. Si scrive sovente di agricoltura e di mondo dei campi. Raramente dell’acquacoltura. Forse perché chi ci lavora parla poco. Zitto come un pesce (se ci si passa la licenza).
Eccoci dunque nella stretta valle del rio di Bondai, giù verso la Sarca, tra il Brenta Orientale e il Paganella-Gaza, alla ricerca del pesciolino d’oro. Del salmerino di montagna, del Salvelinus alpinus, della famiglia dei Salmonidi. Sono i giorni della spremitura delle uova, mezzo milione di uova tendenti al giallo-oro che a vederle nei contenitori all’interno di una tensostruttura, al riparo dalle infezioni, rimanda al caviale Beluga. L’eccellenza. E magari tuffate nello champagne, come usa tra i ricchi, farebbero la loro bella figura. Sono delicatezze per palati fini e carta oro, di un altro mondo che a noi, abituati al cibo comune, paiono da fantascienza. (A proposito, scriveremo pure di questo, la prossima settimana quando sarà già il 2025). Per oggi tuffiamoci nelle acque che sgorgano, come un fenomeno carsico, dalle viscere del Brenta di San Lorenzo in Banale e che fluiscono nelle vasche senza aver visto la luce del giorno.
La strada, in parte sterrata, si innesta in prossimità delle Moline, sull’antico tragitto che un tempo collegava San Lorenzo a Molveno. C’erano molini, segherie e c’erano ben quattro osterie, una con alloggio, officine da fabbro per la fabbrica delle bròche, i chiodi da mettere sotto gli zoccoli di legno, filatoi per la lana e la canapa, una scuola con 40 alunni e la maestra che dava istruzioni anche per la religione cattolica. L’edificio della scuola è divenuta casa di abitazione per l’unica famiglia residente stabile alle Moline. Poi c’è una coppia di pensionati olandesi che ha stabilito qui la propria residenza. «Vanno e vengono», rivela Danilo Rigotti (1951). «Le elementari le ho fatte in quella casa lì; eravamo in 13. La maestra si chiamava Irma Riccadonna, da Rango».
Le Moline si popola d’estate, col ritorno dei figli di chi ha lasciato il villaggio per altre contrade del mondo. Alla fine del XIX secolo tra Moline e Deggia, poco sopra, sull’erta che rimonta la valle, vivevano 23 famiglie per complessive 124 persone. Si diceva, qui come altrove in prossimità dei torrenti, che la gente parlava a voce alta per «contrastare la voce dell’acqua. […] Bon-dài è idronimo di impronta celtica».
Spiega Danilo Rigotti: «L’acqua la ven da ‘na busa fonda, la pozza tramontàna, in val d’Ambiez sotto il rifugio Pedrotti, sul Brenta. Impiega due giorni ad arrivare sin qui».
Una tabella, sul ponte a due arcate, informa il viaggiatore che l’acqua dei Paròi sgorga dalle sorgenti ipogee dei Paròi e del Càrpen «a partire da ogni inizio di maggio e fino all’autunno inoltrato. Ed è l’acqua Mòra quella che vi confluisce poco più a valle».
Racconta Marcello Leonardi, 83 anni ma ne dimostra dieci di meno, titolare di «Acqua azzurra Bondai»: «La spremitura delle uova va da fine novembre ai primi di febbraio. Oltre all’allevamento dei salmerini, qui stiamo recuperando il Carpione del Garda. Una volta ne pescavano 300 quintali l’anno, adesso forse 3 o 4 quintali. È un pesce in via di estinzione. L’Istituto di S. Michele all’Adige ha chiesto alla Comunità europea un contributo per il recupero e la salvaguardia di questa specie. Sono andati avanti alcuni anni senza risultato. Nel frattempo avevano dato un po’ di uova a vari pescicoltori. L’unico che le ha salvate sono stato io».
Dentro una vasca sfrecciano gli avannotti. «Questi sono i carpioni del Garda, specie unica al mondo». Guazzano in quella che Marcello Leonardi definisce «un’acqua speciale. Viene dalla sorgente, è drenata e non vede neanche la luce. Perché quando l’acqua vede la luce, comincia la vita. A me serve che non ci sia vita sennò si formano muschi, muffe e altro».
Katia Corradi, da Dorsino, responsabile della serra: «Dopo la spremitura, le uova impiegano 60 giorni per la schiusa, poi due mesi nei telai prima di diventare avannotti. Un anno prima di lasciare questo ambiente protetto e essere collocati nelle vasche all’aperto».
Per accedere alla sala di svezzamento e primo sviluppo dei carpioni e dei salmerini, si deve camminare in una piccola vasca, su un tappeto imbibito di disinfettante. Il pericolo di contaminazione, infatti, è in agguato. Spiega il titolare: «Da alcuni anni abbiamo abolito l’uso di antibiotici anche perché non funzionano più. Allora siamo costretti a vaccinare tutti i salmerini. Uno per uno. In questo momento abbiamo qui 200 mila salmerini».
Come per la spremitura delle uova – vi sono addetti Antonio Bosetti, 51 anni, e Riccardo Bosetti, 36 anni, da San Lorenzo – i salmerini alpini sono collocati per qualche minuto in un mastello con acqua e anestetico.
Ma la cura non conosce giorni di sosta. Una o due volte al giorno, nelle vasche va versato il mangime. Tuttavia, come per gli umani, talvolta è consigliato il digiuno. Tre giorni di digiuno. Per esempio, quando i salmerini sono trasferiti in altre località e per loro il viaggio è uno stress. Viene spontanea, a questo punto, la domanda: alle condizioni date, nei giorni di Natale o Capodanno serve che gli addetti scendano nella valle a dar da mangiare ai pesci? «Potrebbe non servire. Ma un organismo che è abituato a mangiare tutti i giorni… Una volta non davamo il mangime la domenica. Poi ho pensato: ci sono 50 domeniche l’anno e se non mangiano non crescono. Insomma, si perderebbero due mesi di crescita».
Da queste parti si aggira l’orso e per proteggere le vasche Marcello Leonardi è dovuto ricorrere a reti elettrificate. Non lamenta predazioni da parte dei volatili (cormorani, smerghi o aironi) ghiotti di pesce e che hanno costretto altri allevatori ittici a coprire le vasche con le reti. «Forse perché la valle è stretta ed è più facile avvicinarsi lungo la valle della Sarca». Certo, qualche rapace del Brenta si fa vedere talvolta ma non sono presenze tali da impensierire più di tanto.
Invece su alle Moline, Danilo Rigotti dice che l’orso è un problema. «È una situazione che dà fastidio anche perché i colpevoli ci sono ma nessuno si prende la responsabilità. Ho una casetta, qui sopra. L’orso continua far danni ma poi la Provincia ti indennizza con un pugno di lenticchie. Il costo lo fanno loro».
Si fa vedere di frequente? «Quest’anno un paio di volte, l’anno scorso mi ha fatto visita sei volte. E ogni volta ha causato danni. Ma è come parlare con i muri…»
E poi ci sono i lupi, altra presenza inquietante.
«La mia comunità è molto preoccupata – spiega la sindaca di San Lorenzo-Dorsino Ilaria Rigotti – perché i lupi stanno arrivando ed è un fenomeno che non riusciamo a contenere. Qualche tempo fa abbiamo visto un branco vicino all’abitato. I forestali della Provincia sono intervenuti ma le prospettive non sono tranquillizzanti. E poi c’è l’orso, altro problema e non da poco».
La popolazione ha paura. Lungo le passeggiate che erano il vanto di questi villaggi, annoverati tra i Borghi più belli d’Italia, da solo non va più nessuno. «Pur cercando di fare informazione, serate a tema con gli esperti del parco Adamello Brenta, la paura resta».
È un tema che tornerà a primavera, con la fine del letargo e nuove cucciolate. Meglio i salmerini della valle del Bondai.