La storia
martedì 23 Luglio, 2024
di Anna Maria Eccli
Una casa del Settecento a Villa Lagarina, infanzia benestante in quanto erede di una famiglia di commercianti tessili che aveva il più vasto assortimento di tessuti e tendaggi della regione (il nonno, Arsenio Ganassini, portò le prime calze di seta e di filanca dal Veneto al Trentino), viziata, come di diritto per l’ultimogenita, con quattro fratelli e tre sorelle. Ma a contraddistinguere la personalità di Sara Ganassini, che molti riconosceranno per averla vista dietro al bancone dell’azienda che compera e vende metalli preziosi in Via Dante, e che sabato 27 luglio compirà 52 anni, è soprattutto il fatto di possedere un cuore grande, che di volta in volta, declina a sostegno di chi è in difficoltà. Tra questi le creature più indifese in assoluto, gli animali. Per il suo compleanno sabato riaprirà per l’ennesima volta i cancelli di casa per una festa che si terrà dalle 20 alle 23, dal titolo inequivocabile: «Codine scodinzolanti felici». Festa aperta a tutti, con offerte che saranno devolute al gattile «Le Fusa». Non nuova a questo tipo di iniziative a favore degli animali (del resto, dorme con due cocorite, il cagnolino Pino, volpino abbandonato a Taranto, una gattina e due tartarughe “vintage” che stanno con lei da quando di anni ne aveva nove), non ha mai dimenticato il genere umano; è stata con la Croce Rossa a Reggio Emilia per gli alluvionati e ha portato carichi di vestiari alle famiglie ucraine. Quando le chiediamo di ricostruire la storia della dinastia Ganassini, si commuove.
Signora Ganassini, di solito i compleanni si festeggiano in discoteca, al ristorante, in spiaggia…
«Non per me; io amo gli esseri più indifesi, quelli senza voce. Secondo me hanno un’anima migliore. Sono in contatto da anni con l’associazione “Le Fusa” di Rovereto, anzi approfitto per ricordare che le si può destinare il 5perMille, stessa cosa per “L’Arca di Adele APS” con una signora di Avellino che gestisce un rifugio con 60 cani, 40 gatti e non ce la fa più. Ci sono troppi animali che soffrono, che hanno diritto a una seconda chance. Ma se sono anziani nessuno li vuole».
In cosa consiste la festa?
«Ci sarà musica, un aperitivo, la bancarella de “le Fusa”, ci saranno le foto di alcuni cani del rifugio di Avellino per promuovere qualche adozione, o la disponibilità ad offrire loro uno stallo. Poi ci sarà la bancarella con bigiotteria in macramè, una mostra d’arte con quadri di vari pittori, tra cui Giampiero Averna, che è anche un cantante molto particolare, bravo, dalla voce sensuale, da non perdere».
C’è stato un momento in cui a Rovereto i negozi Ganassini non si contavano. Da dove proviene la sua famiglia?
«I Ganassini provengono dal Veneto. Papà Attilio, poi, ha sposato Carolina Conforti, discendente dagli Ambrosioni, nobili lombardi. Assieme hanno fatto 8 figli: 4 maschi e 4 femmine, 4 biondi con gli occhi azzurri, 4 mori con occhi scuri, tanto per non litigare. Loro due erano bellissimi. Io sono l’ultimogenita e papà diceva che mi hanno chiamato Sara perché in veneto suona un po’ come “sèra”: un appello a chiudere definitivamente la serie. È da lui che ho ereditato la passione per gli animali, cani, cavalli. Lui montava all’inglese, io all’americana. Ma quando il mio Gipsy è morto, schiacciato da una frana, ho sofferto talmente tanto che non ho più voluto possedere un cavallo. Preferisco andare a trovarli in un maneggio. Ogni volta che perdo un animale mi si strappa il cuore».
La sua famiglia è stata tra le più benestanti della zona.
«Famiglia di grandi lavoratori; avevamo negozi a Rovereto, uno a Trento, una sala giochi a Sant’Ilario gestita da mio fratello Aldo e mamma gestiva un albergo a Caorle, l’Antares. Tutti quanti, in estate, noi figli venivamo spediti a lavorare nell’albergo di mia madre, che era tremenda, un vero generale. Poi, in inverno, eravamo mandati nei negozi. Come dire… ci hanno fatto fare la gavetta. Io ho studiato al Depero, ma nelle pause estive pulivo piume, l’ovatta, ritagliavo tessuti, riempivo cuscini».
Ricostruiamo la geografia Ganassini?
Il primo negozio era in Via Mercerie, poi spostato in Via Orefici, quindi in Via Scuole dove è rimasto per 40 anni. Erano stati aperti da papà e dalla sorella, zia Gemma. Con i miei fratelli Aldo e Flavio, poi, il negozio è stato spostato in Piazza del Nettuno, dove c’è ancora la nostra insegna storica verde pistacchio. Mio fratello Dario, invece, ha sempre gestito il trapuntificio aperto dai miei genitori a Villa Lagarina, gestendo poi, con la moglie, il punto vendite in Via LungoLeno che ha chiusi un anno fa. Mia sorella Daniela, invece, ha gestisce da anni il negozio di Trento, che una volta si trovava in Via 3 Novembre, ora in Via Perini».
Poi cosa è successo?
«I tempi cambiano… qualche malattia, qualcuno si è pensionato, mio fratello Flavio ha scelto di dedicarsi al cartongesso, Aldo che non c’è più e così mia sorella Paola… Comunque la mia famiglia, e con essa l’azienda, ha subito anche un grande scossone a causa di rapporti sbagliati con persone sbagliate. Mio padre ne subì in pieno il contraccolpo. Oggi io, ottava figlia, ho l’8 nel destino, simbolo dell’infinito: sento che compito mio è tenere la famiglia unita, il più possibile».
Famiglia, comunque con un certo esprit creativo.
«In effetti, Sergio, il più vecchio, è un grande artigiano della falegnameria, Dario restaura mobili antichi, mia sorella Gabriella ha le mani d’oro, realizza oggetti a mano stupendi, e costumi d’epoca e Daniela ha sempre disegnato. Anch’io sono creativa, ho frequentato il Depero e sono camaleontica: nella mia vita ho viaggiato molto, ho fatto campionati di rally, cantato, inciso un paio di dischi, danzato, promosso spettacoli d’animazione, tutto quello che ha un vago sapore di spettacolo mi attrae, forse assomiglio a una prozia, di cui si favoleggiava in famiglia, che nell’800 faceva teatro e girava col carrozzone. Era considerata una nomade, naturalmente, e a quel tempo la gente di spettacolo era malvista».
Di cosa è grata alla sua famiglia?
«Mio padre mi ha insegnato il valore del bene e ad amare gli animali, a casa abbiamo avuto una marea di cani, i cavalli, un serpente, tanti coniglietti nani… E se a Natale l’abete era alto quattro metri e sotto c’era una distesa di giochi perché i parenti erano tanti, poi lui ci caricava in macchina per portarli alle famiglie bisognose, o all’orfanatrofio di Cei. Sapeva che il benessere è un’arma a doppio taglio che può fare nascere problemi, invidie, distacchi… Della mia infanzia ho un ottimo ricordo, che mi permette di andare avanti anche oggi, in mezzo a tante cose negative. Mi distrugge la cattiveria verso bambini, anziani, o animali; mi fa perdere il lume della ragione. Magari da giovane ero diversa, un po’ snob, un po’ prezzemolo, molto sorridente, un’ottimista. Poi, le batoste che ho preso mi hanno indurito».
E oggi?
«Oggi mi riconosco come spirito libero, che non ama sentirsi in trappola. E continuo ad avere lo stesso difetto: voler tenere tutto sotto controllo. Ma anche la stessa virtù: vivere con fantasia. E vorrei che tutti facessimo un po’ di più per migliorare il mondo, anche capendo che gli animali sono esseri senzienti, perché tante gocce fanno un mare».
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