sport e società
domenica 8 Dicembre, 2024
di Angelo Zambotti
Non è una domenica come le altre per il calcio italiano. È vero, stiamo parlando di una clamorosa azione a livello locale, ma l’argomento riguarda ogni angolo della Penisola dove si rincorre un pallone, praticando quello che viene spesso definito «il gioco più bello del mondo». Nel Lazio, in questo weekend i campi sportivi sono rimasti chiusi. Il motivo? Lo sciopero deciso da tutte le sezioni arbitrali della regione dopo l’aggressione ai danni di Edoardo Cavalieri, direttore di gara di Civitavecchia, durante Corchiano-Celere, match di Terza Categoria, l’ultima divisione del pallone dilettantistico. Ad oltre 500 chilometri di distanza, sempre domenica scorsa, una rissa da far west ha costretto un giovane arbitro a sospendere il confronto under 17 tra Mezzocorona e Solteri San Giorgio: entrambe le formazioni sono state sconfitte a tavolino e punite in classifica, con i due giovani calciatori che hanno innescato la zuffa squalificati per sei mesi. Quello verificatosi in Piana, a dire il vero, non è che l’ultimo di una serie di episodi che spesso hanno avuto come vittime i direttori di gara, troppo spesso bersagliati da pubblico, calciatori, dirigenti e via dicendo.
«Da quando ho assunto questa carica, ho notato un’impennata di episodi del genere: nella scorsa stagione abbiamo registrato qualcosa come 11 violenze ai danni degli arbitri, non penso che ce ne siano mai state così tante».
A parlare è Maicol Ferrari, classe 1990 grestano che nella vita è infermiere, ma per passione è presidente del Comitato provinciale autonomo di Trento dell’Associazione Italiana Arbitri dopo una lunga carriera con fischietto e bandierina. Dopo il corso terminato a giugno 2007, Ferrari è partito arbitrando un Villazzano-Trilacum per giovanissimi, per poi scalare le categorie sino ai 9 anni sul panorama nazionale, tra Serie D e Serie C, come assistente, quello che in gergo viene chiamato «guardalinee». Ora guida una realtà che conta 306 arbitri, che nella passata stagione hanno risposto «presente» a 6384 designazioni.
«In pratica – racconta Ferrari – un giorno avevo la bandierina in mano, il giorno dopo sono diventato presidente. Penso sia stata una fortuna cominciare subito con il nuovo ruolo, perché in questo modo ho potuto portare immediatamente il mio “stare in campo” e il mio bagaglio di esperienza ai ragazzi. Fin da subito ho puntato su un approccio incentrato sulla persona, al di là dell’arbitraggio: prima dell’arbitro viene l’uomo, e per questo ho spinto per investire sui ragazzi a livello personale. Ricordiamo che oltre ai fischi che un direttore di gara emette in 90 minuti ci sono i “non fischi”, il richiamo al calciatore o il dialogo con l’allenatore. Noi lavoriamo molto su questo, perché buona parte dell’impegno di un arbitro riguarda la gestione di chi sta in campo e in panchina, oltre alla reazione alle pressioni esterne».
Presidente, cosa ne pensa di questa preoccupante situazione legata alla crescita di episodi violenti nel nostro calcio?
«Innanzitutto bisogna capire che il tema riguarda tutti, perché in questa escalation sono coinvolti i calciatori, i dirigenti, il pubblico. Inoltre vorrei sottolineare che anche la violenza verbale non è da sottovalutare, soprattutto se perpetrata sui ragazzini, sia che si tratti di arbitri insultati per il proprio operato, sia che si tratti di calciatori maltrattati per qualche errore. Purtroppo abbiamo assistito anche a scene da far west che sembrano provenire da altre latitudini. Come già detto, questi problemi sono da prendere in mano come sistema calcio, non solamente come arbitri. Su questo con il presidente del Comitato trentino della Figc, Stefano Grassi, siamo in sintonia. Nel Lazio scioperano visto quanto successo nelle scorse settimane: penso sia un segnale forte che va dato, considerando che proclami e sensibilizzazioni del recente passato non sono state sufficienti, e sembra non sia servito a molto neppure inasprire le pene. Gli episodi violenti continuano ad aumentare: se è la società che verte così non va bene, bisogna trovare altri strumenti, anche eclatanti. In questo weekend gli arbitri scendono in campo con il segno nero sul viso, io ho proposto alla federazione per invitare le squadre a fare altrettanto, sarebbe un bel segno per mostrarsi uniti nella lotta alla violenza».
La situazione incide sul reclutamento di nuove leve?
«In un certo senso sì. Magari un tempo succedevano episodi spiacevoli, però rimanevano sui campi e andavano a comunicato, senza troppa visibilità. Adesso con le riprese video molto più frequenti e gli altri strumenti alla portata di tutti, ogni episodio viene amplificato. In una certa percentuale questa situazione incide sul reclutamento di nuovi arbitri: mi metto nei panni dei genitori, giustamente si chiedono se sia il caso di mandare la figlia o il figlio a fare l’arbitro… Se queste sono supposizioni, so per certo che la violenza verbale qualche abbandono l’ha causato, con alcune giovani leve che dopo qualche esperienza negativa hanno deciso di smettere. I ragazzi sono supportati dall’Associazione, ma spesso quando la violenza si compie è poi troppo tardi».
Come si sviluppa la preparazione degli arbitri in vista delle gare?
«Un ruolo importante lo ricopre l’allenamento fisico, cruciale per essere vicino all’azione: le sezioni organizzano poli di allenamento, con 2-3 appuntamenti settimanali oltre alla gara. Il grado di allenamento è variabile, ma la maggior parte di chi spicca a livello regionale tiene questi ritmi perché la componente atletica è fondamentale. Salendo di categoria poi si è seguiti a distanza, con allenamenti ancora più specifici».
Se ai massimi livelli il vostro ruolo è stato rivoluzionato dal Var, a livelli più bassi ormai sono tantissime le partite riprese da telecamere utilizzate dalle società. Per voi cosa è cambiato?
«Quando sono diventato presidente, la prima cosa che ho fatto è stata chiedere, attraverso la federazione per dare dimensione istituzionale al progetto, la collaborazione alla società per avere dei video. Ho colto subito il potenziale di tale strumento e ho trovato una collaborazione praticamente con tutti. Per noi i video sono il metodo di apprendimento e di miglioramento più potente che ci sia: io posso far vedere ai miei ragazzi un video di Serie A e può servire, ma se rivedono se stessi nelle cose fatte bene e negli errori si può lavorare in modo più mirato. Sui campi noi abbiamo gli osservatori, ma a volte il loro punto di vista è soggettivo e filtrato da diversi fattori: l’immagine ti rende, in modo anche spietato, l’oggettività».
Domenica scorsa per Calisio-Avio, match di Promozione, è stata designata una terna tutta al femminile: possiamo dire che le direttrici di gara sono diventate la normalità anche per squadre e tifosi.
«Abbiamo 7 ragazze a livello regionale che possono dirigere in terna, mentre in tutto le direttrici di gara trentine sono 32. Se sono arrivate a comporre un’intera terna in Promozione significa che se lo sono meritato, ritagliandosi spazio con qualità. Finalmente possiamo dire che trovarsi un’arbitra è diventato parte della normalità: io quando designo non guardo se il “fischietto” scelto per una partita è uomo o donna. Nella nostra provincia, d’altronde, abbiamo grandi esempi come Silvia Gasperotti a livello internazionale, Denise Perenzoni in Serie D, Tullia Perottoni che aveva raggiunto livello nazionali nel calcio a cinque: il nostro territorio da anni esprime eccellenze in tal senso, alimentando il movimento al femminile».
Come giudica invece il «doppio tesseramento», ovvero la norma che permette a chi gioca di intraprendere anche il percorso da direttore di gara?
«Da un paio di stagioni a questa parte, i giovani calciatori fino ai 19 anni possono anche arbitrare. Tale svolta ha dato una mano a noi arbitri, ma anche alle società a cui questi ragazzi appartengono o appartenevano, perché ha portato alla diffusione di una maggior cultura delle regole, aspetto che sembra scontato ma non lo è. Abbiamo notato in queste società un miglioramento nell’approccio e una migliore accettazione delle decisioni arbitrali, perché spesso il ragazzo che gioca e arbitra spiega ai compagni alcune cose. Finora giudico parziale il successo di questa novità, perché ha dei paletti che non sempre agevolano la doppia attività: l’auspicio sarebbe che ogni società porti almeno un arbitro, questo vorrebbe dire avere 70 arbitri in più e spargere ovunque una certa cultura sportiva».
Che messaggio lancerebbe alle società?
«Dico che bisogna lavorare sull’accettazione dell’errore: se non si può pretendere che nelle giovanili o nei campionati dilettantistici ci sia un calciatore al livello di Maradona o un mister ai livelli di Lippi, per questo anche l’arbitro che si trova ai nostri livelli non può essere Collina. Ricordiamoci che anche l’errore fa parte del processo di crescita: si può sbagliare a patto che poi si lavori per non sbagliare più, quello è il nostro compito dal punto di vista del supporto personale e tecnico ai direttori di gara. E aggiungo, decidere di fare l’arbitro significa intraprendere un percorso formativo di crescita caratteriale, con la nostra associazione che protegge, aiuta e supporta a 360 gradi chi si intraprende questa attività».
L'inchiesta
di Tommaso Di Giannantonio
L'incidente a San Martino di Castrozza, il padovano di 7 anni è ancora ricoverato all’ospedale Santa Chiara di Trento. Il piccolo era sul mezzo in uso alla Polizia insieme all’amico del papà