La sentenza
venerdì 5 Luglio, 2024
di Benedetta Centin
La pesante accusa di violenza sessuale aggravata e continuata nei confronti di due anziane over 80, a cui aveva prestato assistenza domiciliare quale dipendente di una cooperativa trentina, alla fine ha retto alla prova dell’aula. E ieri pomeriggio il tribunale collegiale di Trento ha condannato a sei anni e due mesi di reclusione l’operatore (o meglio ex visto che nel frattempo è stato licenziato). Si tratta di un trentino di 45 anni dell’Alta Valsugana. Per il quale sarebbe caduta quanto meno l’aggravante di aver agito con crudeltà, non quella invece di aver approfittato della minorata difesa delle vittime e di averlo fatto abusando e violando i suoi doveri, nell’esercizio delle sue funzioni, prestando appunto assistenza alle anziane tra le pareti di casa. Contestazioni gravi che per la titolare del fascicolo, la pm Patrizia Foiera, valevano una condanna ben più grave: in aula, nel corso della sua requisitoria, ha infatti sollecitato per lui una pena di 13 anni e mezzo. Più del doppio quindi rispetto a quanto inflitto dai giudici Rocco Valeggia (presidente), Claudia Miori e Massimo Rigon (a latere), Collegio che ha anche disposto che l’imputato liquidi una prima trance di risarcimento di 5mila euro alla figlia — quale amministratrice di sostegno — di una delle due anziane, una pensionata classe 1937. C’è da precisare che nessuna delle due presunte vittime, all’epoca dei fatti contestati di 82 e 93 anni, aveva comunque formalizzato denuncia querela nei confronti dell’operatore (motivo per cui una di loro non è entrata nel processo).
Sentenza da appellare
La difesa ha già anticipato che ricorrerà in secondo grado, determinata a smantellare il castello accusatorio, così come aveva già tentato di fare nel corso del dibattimento, presentando anche una consulenza di parte che provasse come il cliente non avrebbe potuto abusare, nei modi contestati, delle pensionate dato il loro stato di salute. «Questa pronuncia ci lascia perplessi, dal punto di vista della difesa le emergenze processuali avrebbero quantomeno imposto una assoluzione con formula dubitativa. Certo, lette le motivazioni, impugneremo la sentenza in Appello» il commento dell’avvocato Marco Vernillo che assisteva il 45enne assieme alla collega Maria Rosaria Bevilacqua, sostituita in udienza da Katia Finotti. I legali, anche attraverso dei testimoni portati in aula, avevano provato a dimostrare l’estraneità del loro assistito alle accuse, evidenziando tra l’altro come allora questi avesse solo mansioni limitate, come non potesse decidere in autonomia.
Ma il giudice, che a tal proposito aveva chiesto ulteriori verifiche alla Procura, non è stato dello stesso avviso e lo ha ritenuto un incaricato di pubblico servizio. Qualifica che ha pesato ancora di più in sede di condanna.
Le gravi contestazioni
Per l’accusa gli episodi si sarebbero verificati tra 2019 e 2021. Episodi in cui, ne è convinta la Procura, l’uomo si sarebbe preso la libertà di avere atteggiamenti morbosi nei confronti delle anziane malate assistite, incapaci di muoversi, di reagire. Il 45enne avrebbe allungato le mani sul petto e nelle parti intime mentre le cambiava o spalmava loro la crema. Avrebbe anche cercato un contatto fisico, deridendole. Fatti, questi, che l’imputato ha sempre negato, respinto con forza.
La denuncia della collega
A fare scattare il procedimento penale nei suoi confronti, raccontando le presunte violenze, era stata una collega con cui lavorava al tempo. La donna aveva formalizzato denuncia così come aveva fatto il datore di lavoro, la cooperativa che nel frattempo ha licenziato l’operatore. Collega, questa, che allora aveva sostenuto di aver assistito e pure di aver subito a sua volta. La Procura infatti aveva contestato all’uomo anche un altro episodio di violenza sessuale, che doveva essere avvenuto ai danni di questa collega di lavoro, di vent’anni più grande. Ma a novembre 2022 il giudice per l’udienza preliminare aveva prosciolto l’imputato, in quanto «non era stata lesa la corporeità della parte offesa».