L'intervista
giovedì 8 Agosto, 2024
di Ottilia Morandelli
La vita di un operatore del soccorso alpino è «complicata». Lo sa bene Alessandro Bompani, 46 anni, di Predazzo. Da più di vent’anni Bompani si è messo al servizio dei frequentatori della montagna in difficoltà, prima come soccorritore e ora anche come delegato e coordinatore per le stazioni della zona della val di Fiemme e della val di Fassa. Di lavoro però fa il criminologo. Un impiego insolito che gli capita di svolgere in tutta Italia e che alterna con gli interventi in montagna.
Bompani, quando è entrato nel soccorso alpino? Cosa l’ha spinta a fare il volontario?
«Sono diventato un soccorritore circa 20 anni fa, poco più che ventenne. Come alpinista e amante della montagna è stato naturale per me entrare nel soccorso alpino. Volevo aiutare gli escursionisti come me, ma volevo anche essere certo che se fosse capitato a me, di farmi male in quota, ci sarebbe stato qualcuno pronto ad aiutarmi. Con questo spirito ho iniziato la mia esperienza. Ora sono ancora qua».
Qual è una vostra giornata tipo?
«Il nostro non è un lavoro, è volontariato. Per questa ragione non abbiamo turni precisi, non può esserci una giornata tipo. Nelle varie stazioni però c’è una programmazione, in base ai nostri impegni diamo la disponibilità. Si tratta di una attività imprevedibile e estemporanea. Se veniamo chiamati dobbiamo lasciare lì tutto quello che stiamo facendo e dobbiamo andare, correre in stazione e andare sul posto per l’intervento».
Sembra complesso, come fate a conciliare vita lavorativa, famiglia, amici e il vostro impegno nel soccorso alpino?
«Diciamo che spesso è complicato. Capita che magari sono con la famiglia, con mio figlio e devo andarmene. Può essere difficile, però ci aiutiamo fra colleghi».
Come vi aiutate?
«Siamo tutti nelle stesse condizioni, condividiamo le stesse esperienze. Il nostro gruppo negli anni è diventato una famiglia. Sappiamo quello che affrontiamo, i nostri sacrifici. Ci facciamo forza a vicenda».
Voi colleghi passate molto tempo insieme, anche condividendo momenti difficili.
«Certo, la nostra è una attività difficile e l’impostazione della vita familiare in qualche modo risente. Fortunatamente tanti di noi hanno gli amici dentro il soccorso, colleghi che fanno la nostra stessa vita. Le nostre assenze con la famiglia in questo modo di pensano di meno. Poi sia chiaro abbiamo scelto noi questa vita, è una decisione che abbiamo preso tutti consapevolmente».
Quest’estate sembra che ci sia stato un boom di interventi in montagna, è solo un’impressione o i numeri sono in aumento?
«Proprio in questi giorni abbiamo analizzato i nostri dati degli interventi. Dal primo giugno al sei di agosto i numeri delle operazioni in tutto il Trentino sono diminuiti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. All’inizio della stagione erano effettivamente in aumento ma poi, complice il maltempo, le presenze dei turisti si sono ridotte, di conseguenza anche le operazioni di soccorso».
Capitano spesso escursionisti in quota poco attrezzati, inesperti. Persone che non conoscono la montagna, senza informazioni sui sentieri che si fanno male, corrono dei pericoli. Voi soccorritori come vi approcciate a questo fenomeno?
«Per noi gli interventi sono tutti uguali, da quello più complesso a quello più banale, da quello che coinvolge l’alpinista più esperto a quello che non lo è. Non facciamo alcuna distinzione. Facciamo soccorso a prescindere. Oltre a questo cerchiamo di fare come corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico tanta formazione».
Manca una adeguata conoscenza della montagna?
«Sì, ma più che altro serve proprio formazione. Non basta mai. Si devono conoscere quali sono le pratiche migliori da adottare. Tutte le abilità all’esterno sono pericolose. L’unica cosa che si può fare è essere prudenti, conoscere le proprie capacità».
Di tutti questi anni, qual è il suo ricordo più bello?
«La famiglia che siamo riusciti a costruire noi colleghi. Quando il corpo è stato colpito da un lutto, quando abbiamo dovuto affrontare una situazione stressante emotivamente, un intervento andato male, ci siamo stretti tutti insieme. Ecco, forse la forza che ci siamo dati e che ci continuiamo a dare è il ricordo più bello».
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