Terra Madre
domenica 11 Agosto, 2024
di Marco Ranocchiari
Se c’è qualcosa, nel nostro rapporto col mondo, apparentemente immutabile e rassicurante, è l’alternanza tra il giorno e la notte. Eppure il cambiamento climatico sta avendo un impatto persino su questa certezza. Non che sia in dubbio il fatto che «passerà la nottata», sarebbe troppo. Però è ormai accertato, e misurato di recente da due studi pubblicati su autorevoli riviste scientifiche, che la febbre del pianeta, sta causando un enorme rimescolamento di masse, dalle calotte polari agli oceani, che sta rallentando la rotazione del nostro pianeta. Di pochissimo, certo: a partire dal 2000, circa, è dell’ordine dei 1,33 millisecondi al secolo. Abbastanza, però, da rivaleggiare ormai con la Luna e con i millenari movimenti delle placche tettoniche nella sua influenza sulle naturali oscillazioni che coinvolgono la rotazione terrestre. Cambiamenti che, se non avessimo ormai orologi atomici ad altissima precisione, non potremmo neanche notare, ma che nella nostra civiltà tecnologica hanno ripercussioni concrete: dai Gps alle orbite dei satelliti, sono moltissimi i campi che richiedono un monitoraggio attento e continuo dei singhiozzi rotatori della Terra.
«Gli esseri umani misurano il tempo da sempre, e l’alternanza tra giorno e notte è stato il nostro primo orologio. Un fenomeno periodico, ma che da qualche secolo sappiamo non esserlo poi così tanto», premette il professor Alfonso Vitti, (in foto) ordinario di ingegneria all’Università di Trento, specializzato in cartografia, topografia e geodesia. «Oggi si utilizzano almeno due scale di tempo: uno che si può definire per brevità, “astronomico”, e uno “atomico”, basato sulle frequenze tipiche degli atomi. Sono proprio questi strumenti a permettere di evidenziare che la lunghezza del giorno non è sempre costante». E una volta misurate queste variazioni, spiega lo studioso, si è potuto indagarne le cause: si è visto così che quelle principali sono due: l’attrazione gravitazionale della Luna, che oltre a causare le maree rallenta la rotazione terrestre. La seconda è dovuta a fattori climatici, ma molto più antichi di quelli che osserviamo oggi. Per la precisione, la fine dell’ultima era glaciale, circa 11mila anni fa. Il meccanismo – noto come «aggiustamento isostatico glaciale» – è dovuto al fatto che la terra delle zone polari, alleggerite dalle immense calotte glaciali che le ricoprivano, hanno iniziato a sollevarsi. L’esempio del professore: «La Terra si gonfia come la gommapiuma di una sedia torna a una posizione neutra dopo che ci siamo alzati. Questo genere di movimenti – spiega – determina un’accelerazione del meccanismo rotatorio. Un cambiamento quindi contrario a quello indotto dal cambiamento climatico attuale». Per spiegare le ragioni, spiega lo studioso, il modo più immediato è immaginare una pattinatrice su ghiaccio che ruota su se stessa: «Se si rannicchia gira più velocemente, mentre se allarga le braccia rallenta. Se la Terra, cioè, si gonfia nelle zone polari, è come se la terra si rannicchiasse, perché ai poli si è più vicini all’asse di rotazione».
Oggi però, con l’assottigliamento delle calotte polari, sta avvenendo l’esatto opposto. L’acqua che fonde dai poli finisce negli oceani: «Ora l’accelerazione centrifuga sta portando acqua liquida verso l’equatore, molto più lontano dall’asse di rotazione. Ed è come se la ballerina allargasse le braccia. È un fenomeno che è evidente a partire dal 2000 circa». Se in linea teorica questo è noto da sempre, la novità è che i due studi pubblicati dal professor Mostafa Kiani Shahvandi del Politecnico federale (Eht) di Zurigo, su Science e su Pnas (la rivista dell’Accademia americana delle Scienze), sono riusciti a quantificarlo.
Per gli scienziati, durante il Novecento, la Terra stava complessivamente rallentando a un ritmo compreso tra 0,3 e 1 millisecondo al secolo, ma ha accelerato fino a 1,33 millisecondi al secolo dal 2000. La ricerca si avvale dell’intelligenza artificiale alimentata da una quantità di dati sempre più precisi a disposizione degli scienziati. «Questi fenomeni sono attentamente monitorati, esiste anche un organismo scientifico internazionale preposto, International Earth Rotation and Reference Systems Service (Iers). È banale da ricordare, ma sono molte le cose che dipendono dalla lunghezza del giorno, se ci dimenticassimo del 29 febbraio ogni 4 anni le stagioni arriverebbero in un momento diverso. Ma tenere conto delle piccole variazioni è fondamentale se ad esempio si devono progettare missioni spaziali di lungo termine. E il cambiamento climatico su queste variazioni avrà un impatto sicuramente crescente nei prossimi decenni». I nuovi studi provenienti da Zurigo però si spingono oltre, ipotizzando che queste dinamiche influenzeranno anche le dinamiche interne al nucleo terrestre. «Su questo siamo ancora nel campo delle ipotesi: il sistema Terra è complesso. Certo, se si riassestano le masse d’acqua che schiacciano la crosta terrestre ci sono sicuramente delle conseguenze».