L'INTERVISTA
giovedì 1 Agosto, 2024
di Daniele Erler
«Sono davvero addolorato che il nostro incontro le sia costato la vita. Mi sento in colpa, lei voleva solo proteggere i suoi cuccioli». Vivien Triffaux, il turista francese di 43 anni aggredito dall’orsa nei boschi sopra a Dro, commenta così la notizia dell’abbattimento di Kj1. Lui è rientrato in Francia da qualche giorno, ma ormai il suo destino è strettamente legato a quello che succede in Trentino. Il dibattito sulla gestione degli orsi – attraverso le vie della rete, i giornali e i social network –, lo raggiunge anche a centinaia di chilometri di distanza e non lo aiuta a stare meglio. Anche perché – spiega in questa intervista al T – non avrebbe voluto che le cose finissero così: fin da subito aveva detto che bisognerebbe studiare un modo per far convivere gli uomini con la fauna selvatica, soprattutto puntando molto sulla comunicazione. «Sapere cosa fare in questi casi a me ha salvato la vita». È un dibattito difficile, spiega, ma andrebbe fatto in un clima più sereno.
Dopo che è stato dimesso dal Santa Chiara, Triffaux ha passato ancora qualche giorno a Dro, dove ha parte della sua famiglia. Ha già in programma di tornare in Trentino fra qualche mese, quando le ferite fisiche di questa vicenda saranno ormai guarite. Per superare il trauma psicologico servirà probabilmente più tempo. E la notizia dell’abbattimento di Kj1 non cambia nulla in questo difficile percorso per superare le ferite emotive. Quanto meno, martedì Triffaux è riuscito a tornare a camminare in un bosco francese, per la prima volta dopo quell’incontro che gli ha cambiato per sempre la vita.
Come si è sentito quando ha saputo dell’uccisione dell’orsa?
«L’ho saputo praticamente subito, già martedì. Anche se so che non spettava a me decidere del destino di KJ1, questa notizia mi ha profondamente rattristato e mi ha fatto sentire molto in colpa. Ho avuto la sensazione che l’orso agisse istintivamente per proteggere i suoi cuccioli. D’altra parte, sono pienamente consapevole che un attacco di questo tipo avrebbe potuto avere conseguenze tragiche per me o per altre persone».
La morte dell’orsa cambia qualcosa nella sua percezione di quello che è successo?
«Mi spiace che sia finita così. Ho davvero un forte senso di colpa».
La decisione dell’abbattimento è stata molto criticata. Cosa vorrebbe dire a chi è contrario?
«Avrei sperato che si potessero trovare compromessi che garantissero la sicurezza delle persone, senza però mettere a rischio la preservazione della biodiversità. La tutela della natura e degli ecosistemi per me è una priorità fondamentale. Vorrei che il dibattito avvenisse in un clima sereno, per trovare una coesistenza giusta tra l’uomo e le specie animali, e che si adottassero misure preventive per ridurre gli incontri tra esseri umani e animali selvatici. E poi, quello che secondo me è davvero importante, è che si faccia informazione sui comportamenti da adottare quando questi incontri avvengono, anche se è difficile mantenere il controllo in certe situazioni».
Come sta?
«Sono tornato in Francia da qualche giorno. Mi sento sempre meglio, anche se fisicamente e mentalmente sono ancora segnato da quello che è successo. Anche la mia famiglia sta passando ancora un momento difficile. Spero di poter tornare al lavoro già la settimana prossima».
A proposito, in Francia lei lavora come psichiatra in un ospedale. Quanto le è stata utile la sua formazione per capire quello che sta succedendo alla sua mente, dopo il trauma che ha vissuto?
«Questa è una bella domanda. In effetti, lavoro come psichiatra in un ospedale con bambini e adolescenti. Anche se conosco bene i meccanismi del trauma a livello teorico, viverlo sulla mia pelle è tutta un’altra cosa. Come sempre, sono molto attento a quello che provo sia a livello fisico sia emotivo. Lascio che il tempo faccia il suo corso. È fondamentale per me essere circondato dai miei cari e avere il loro sostegno. Ho anche bisogno di passare del tempo da solo, di riappropriarmi gradualmente del mio corpo e di riconsiderare la natura come qualcosa che non è necessariamente ostile. Ieri sono riuscito a fare una passeggiata nel bosco per la prima volta, il che mi ha fatto molto bene, anche se provo ancora delle paure che prima non avevo. Ad esempio, mi sorprendo a spaventarmi all’idea di incontrare all’improvviso qualche animale selvatico. Anche se è quasi impossibile che possa succedere di nuovo. Soprattutto nei boschi dei Vosgi».
L'inchiesta
di Tommaso Di Giannantonio
L'incidente a San Martino di Castrozza, il padovano di 7 anni è ancora ricoverato all’ospedale Santa Chiara di Trento. Il piccolo era sul mezzo in uso alla Polizia insieme all’amico del papà