Politica
martedì 15 Agosto, 2023
di Donatello Baldo
Stirpe autonomista, figlio di Enrico, Walter Pruner per la prima volta sarà candidato alle elezioni. Sarà in lista, per le prossime Provinciali, con Casa Autonomia.eu, il movimento che ha lasciato il Patt in contrasto con lo spostamento a destra: «Una decisione sofferta, non è stato semplice decidere di lasciare quel simbolo. Ma quel simbolo, le Stelle Alpine, lo hanno portato altrove, dove io non posso andare».
Nel centrodestra.
«Con il fronte di Fratelli d’Italia. In tutta la storia autonomista non è mai successo che si facessero accordi con l’Msi, con Alleanza Nazionale, i partiti da cui provengono Fratelli d’Italia. Io non sono per demonizzarli, per trattarli come nemici, per me sono avversari politici, distanti da me a livello valoriale. Vorrei però ricordare che il via libera alla coalizione di centrodestra è arrivato da Roma, e non solo per il presidente, anche per la vicepresidente, decisa ancor prima del voto. La tipica arroganza statalista».
«Statalisti» ma anche «populisti», così sono stati definiti nella conferenza stampa che ha presentato la lista di Casa Autonomia e lanciato la sua candidatura. Condivide questa descrizione?
«Rappresentano quanto c’è di più distante dall’idea di un autonomista. Li giudico per le loro idee, per il modello di società che propugnano, per l’architettura dello Stato che difendono. La loro “identità nazionale” non può che essere in contrasto con le istanze della valorizzazione dei territori, della loro specificità, con tutto quello che la mia sensibilità culturale e politica sente nel cuore».
A proposito di cuore, ha detto che è appunto seguendo il cuore che ha accettato la candidatura.
«Vero. Perché non ho fatto alcuna valutazione razionale, ho sciolto la riserva nelle ultime ore. Potrò portare dieci voti o mille, non importa, ma era il momento di prendere una posizione».
Disobbedendo a suo padre, ma ascoltando sua moglie. È così?
«Papà (e qui il figlio si commuove, ricordandolo) era malato da tempo ma la situazione peggiorò nel giugno del 1989. Eravamo di ritorno da Piné e disse: ”Mi sa che non faremo un altro viaggio assieme, non ho più tanto tempo”. E mi diede un consiglio, quello di non fare politica».
Perché?
«Mi disse che dalla politica aveva avuto tante soddisfazioni, ma anche tanti dispiaceri, quelli degli anni precedenti, della divisione del partito. Era presente anche mia moglie quando mi disse tutto questo, al tempo era ancora la mia fidanzata».
Che però a distanza di anni l’ha spronata a mettersi in gioco.
«Mi ha detto che non posso più tirarmi indietro, che devo seguire il cuore, quello che sento, per difendere la storia di un autonomismo che non può scendere a patti con chi da sempre ha contrastato i nostri valori. Mi ha detto che me pentirei se non facessi niente, e l’ho ascoltata».
È così dispiaciuto della scelta del Patt?
«O mi spiegano che tutto quello su cui si fonda il concetto di autonomia è cambiato, che l’autonomia è tricolore, oppure davvero non capisco questa scelta, non in termini politici. Per un passaggio così epocale andava fatto un un percorso, un congresso. Non basta un incontro al Bicigrill: una svolta di questa portata va condivisa».
Il Patt dice però che l’obiettivo è il governo dell’autonomia, e il centrodestra ha il vento in poppa…
«Alla base di un governo dev’esserci un progetto. Per andare al governo come parte residuale, in una compagine con Fratelli d’Italia… Non vale niente se questo è il quadro. E viene il dubbio che la questione non sia politica ma di posti, di careghe. Però davvero, non voglio fare polemiche, anche perché non voglio che tutto si riduca a fazioni, il sogno rimane quello di unire gli autonomisti».
Il segretario delle Stelle Alpine potrebbe dire che ci ha già pensato lui. Con il Patt c’è ora anche Grisenti di Progetto Trentino e pure Kaswalder è tornato alla casa madre.
«Si sono uniti ai dorotei e si sono ripresi uno che avevano espulso. Io intendo rivolgermi agli autonomisti che in silenzio vivono i territori, che sono stato esclusi da ogni decisione, che credono ancora in un’autonomia che va oltre alle decisioni di pochi sulla testa di tutti».
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