L'INTERVISTA
venerdì 5 Maggio, 2023
di Tommaso Di Giannantonio
La digitalizzazione come un abito che non si può fare a meno di indossare, pena il rischio (elevato) di rimanere indietro. «Un’impresa che vuole crescere deve necessariamente investire in digitalizzazione». Ne è convinto Marco Gay, presidente esecutivo di Digital Magics, incubatore e acceleratore di startup, e alla guida sia di Confindustria Piemonte sia dell’Associazione nazionale delle imprese Ict e dell’elettronica di consumo (Anitec-Assinform). E da diversi anni impegnato nel promuovere lo sviluppo dell’economia digitale in Italia, trainata dai digital enabler, quelle piattaforme come il Cloud o il 5G che attivano processi di trasformazione digitale, ottimizzando le attività aziendali e aprendo nuovi business. Ma «oggi serve un nuovo piano industriale», sostiene Gay, ospite del Wired Next Fest nel talk «Il capitale nel territorio» (sabato 6 maggio, ore 16).
Perché un’impresa dovrebbe investire in digitalizzazione?
«Tutte le nostre imprese hanno interazioni che escono dal loro stretto confine e partecipano a uno sviluppo trainato da aziende capi-filiera, che investono in digitalizzazione per diventare più produttive e competitive. Quindi un’impresa che vuole crescere deve necessariamente investire in digitalizzazione. Per vivere, competere e crescere, un’impresa deve generare valore aggiunto sulla produzione e sul servizio ed oggi lo si genera con la tecnologia».
Quali sono i volumi del mercato digitale in Italia?
«Il mercato digitale italiano tocca gli 80 miliardi: cresce anno su anno dal 3 al 5%, ad eccezione del periodo Covid. Il mercato dei digital enabler – Cloud, 5G, Cybersecurity, Intelligenza artificiale – cresce a doppia cifra: nel 2022 è arrivato a quota 421 milioni, con una crescita del 22% rispetto al 2021. Per il 2025 si stima un mercato da 700 milioni. E questa è solo la crescita diretta. I digital enabler sono moltiplicatori incredibili».
Quali sono i servizi digitali con maggiori margini di sviluppo?
«L’Intelligenza artificiale, la sensoristica, la Cybersecurity, il Cloud e anche il Quantum computing. Sono tutti digital enabler che avranno una crescita esponenziale da qui ai prossimi 10 anni. Se saremo in grado di contaminare l’industria tradizionale con queste tecnologie faremo un salto davvero importante. Già oggi l’export del brand Made in Italy vale 600 miliardi».
Il tessuto economico italiano è costituito principalmente da piccole e medie imprese, che non sempre hanno la capacità di fare investimenti importanti. Come si può sostenere la transizione digitale tra le piccole imprese?
«Partirei da un dato: il passaggio culturale è stato fatto. Oggi c’è molta consapevolezza. La ridotta dimensione delle imprese è un dato di fatto. Da questo punto di vista servirebbe un nuovo piano di politica industriale, che potremmo chiamare Transizione 5.0».
Si avverte la mancanza di una politica industriale?
«È insufficiente. Tre anni fa è iniziato il décalage del Piano Transizione 4.0. Serve un nuovo piano industriale che sia molto attento alla nuova imprenditorialità, quindi startup, investimenti in capitali di rischio e digital enabler. Un piano industriale che tenga ben presente quali sono i settori di eccellenza e che da lì parta per rendere l’industria più forte e competitiva. Un piano industriale, infine, che sia accompagnato da un piano per le competenze, indispensabile per una reale trasformazione digitale».
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) riserva 50 miliardi alla digitalizzazione del Paese, di cui oltre 11 destinati alla Pubblica amministrazione. Non bastano le risorse, però. Bisogna saperle spendere. A cosa bisogna prestare attenzione?
«Innanzitutto dobbiamo capire che cos’è il Pnrr. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza nasce da un programma europeo che si chiama “Next Generation Eu”. Questo significa che non possiamo più scaricare il debito sulle nuove generazioni, altrimenti non facciamo niente di diverso rispetto al passato. Il Pnrr è quindi costituito da investimenti. I soldi che investiamo oggi devono avere una ricaduta trasformativa nell’industria, nella società e nelle istituzioni».
Digital Magics è un incubatore di startup. Qual è il loro ruolo in questa trasformazione?
«Nei progetti di open innovation le startup sono uno strumento di innovazione positiva per le aziende. Le startup hanno la solidità per vedere il business con gli occhi del futuro. La fiducia in questo mondo è la fiducia nel futuro».
Dove si posiziona l’Italia rispetto all’ecosistema europeo delle startup?
«Siamo dov’erano 4 anni fa i nostri competitor europei. Ma ora siamo in una crescita verticale incredibile».
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