L'INTERVISTA
martedì 20 Agosto, 2024
di Sara Alouani
Un ragazzo di seconda generazione che ha trasformato il suo percorso in un impegno che lo porta ad essere «un ponte tra due mondi». Yassine Lafram, nato a Casablanca nel 1985, è cresciuto in Italia e dal 2014 guida la comunità islamica di Bologna, «ma non solo» tiene a precisare. Nel 2018, a soli 33 anni, è stato eletto presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia. Una realtà nata nel 1990 «per tutelare i loro diritti» e per costruire un’intesa con lo Stato italiano. Perché le comunità islamiche, ancora oggi, «vengono perseguitate dalle proprie amministrazioni comunali semplicemente perché cercano un luogo dove pregare».
Lafram, lei è diventato imam della comunità di Bologna a soli 29 anni. Giovanissimo. Perché ha deciso di intraprendere questo percorso?
«Do una risposta fuori taccuino, sono imam saltuario perché devo gestire gli altri impegni come quello di presidente Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia ndr). Non sono imam in una moschea precisa, guido riti di preghiera in diverse comunità in tutta Italia».
Dal 2018 è presidente nazionale dell’Ucoii. Quanto è importante questa realtà per la comunità musulmana in Italia? E perché?
«L’Ucoii è nato nel 1990 per dare un volto unitario di rappresentanza alle comunità islamiche italiane e per tutelare i loro diritti. Uno dei nostri macro-obiettivi, come da articolo 8 della Costituzione, è creare un’intesa con lo stato italiano. L’importanza dell’Ucoii è legata ai diritti della comunità».
Tariq Ramadan in un celebre saggio si chiede se sia possibile essere un musulmano d’Occidente. Lei cosa ne pensa? È possibile vivere a pieno la propria religione non vivendo in un paese musulmano?
«Noi come Ucoii abbiamo favorito quello che è l’islam italiano con le sue specificità perché crediamo di essere cittadini a pieno titolo, pur avendo come fede quella islamica. C’è piena compatibilità: essere buoni musulmani significa in prima istanza essere dei buoni cittadini e quindi è possibile vivere appieno la religione anche dove non c’è maggioranza islamica ma dove c’è libertà di culto. E ne è testimonianza il fatto che ci sono popolazioni europee autoctone che da secoli sono islamiche come la Bosnia».
Lo chiedo perché con cadenza regolare in Italia si alza il sipario sulle polemiche (si veda la chiusura delle scuole per la festa di Eid)…
«Tutto ciò che riguarda l’islam è facile da strumentalizzare per fini politici. Ahimè, in Italia viene portata avanti una narrativa mediatico politica dove è facile prendere come bersaglio le comunità islamiche, le donne, le moschee. E questi dibattiti portano voti a chi punta sull’islamofobia. Sono temi di facile uso e che hanno una copertura mediatica importante. Ci sono programmi in prima serata tv che mirano a spaventare la nostra società, la nostra Italia, con questa presenza islamica minacciosa ma non è altro che propaganda».
La comunità musulmana in Italia è in crescita. Conta quasi tre milioni di persone. Quale è la ricetta per una giusta convivenza?
«Partiamo dal riconoscimento delle comunità in quanto comunità religiose, perché al momento non lo sono. I diritti individuali sono costituzionalmente garantiti e tutelati, mentre quelli delle comunità islamiche non lo sono. Ne sono una prova la mancanza dei cimiteri islamici e dei luoghi di culto. Le comunità territoriali vengono perseguitate dalle proprie amministrazioni comunali semplicemente perché cercano un luogo dove pregare. La ricetta parte dal riconoscimento dei dirtti costituzionali. Noi come musulmani non chiediamo privilegi o favori, ma che ci vengano riconosciuti i nostri diritti nel rispetto di quelli che poi devono essere i nostri doveri. La questione deve essere trattata da ambedue le parti».
Le seconde generazioni sembrano vivere un momento di smarrimento. Lei è un ragazzo di seconda generazione cresciuto in Italia. Come è riuscito a trovare la sua strada?
«Le seconde generazioni sono ragazzi e ragazze nati o cresciuti in Italia e che si sentono cittadini italiani a pieno titolo. Purtroppo, questo non viene loro riconosciuto sulla carta e molti non hanno la cittadinanza italiana. Questo non li aiuta nel loro percorso di crescita e di costruzione identitaria. Sono ragazzi ponte, che vivono tra due mondi facendo i mediatori tra i genitori e il loro paese, l’Italia. È importante creare le condizioni affinché si sentano accettati per quello che sono: altrimenti rischiamo di perdere alcuni di questi nelle strade della microcriminalità perché non si sentono compresi né dalla famiglia né dalla società in cui vivono».
In Trentino da anni si discute della costruzione di una vera e propria moschea ma esiste una parte di politica che si oppone al progetto. A Ravenna come a Roma c’è una moschea. Quali sono i pro e i contra di questo esperimento sociale?
«Le moschee vere e proprie con cupola e minareto sono sei in Italia (Roma, Ravenna, Milano, Catania, Colle Val D’Elsa e Lecce ndr). Sono luoghi di riferimento per la comunità perché sono luoghi di preghiera ma anche di interazione sociale positiva dove la comunità islamica ritrova se stessa e si orienta. È importante riconoscere il diritto costituzionale di avere luoghi dignitosi. In Italia non dimentichiamo che ci sono oltre 1200 luoghi preghiera, la maggior parte dei quali non sono riconosciuti come luogo di culto. È necessario che la legislazione italiana riconosca un iter chiaro per la costruzione dei luoghi di culto. Laddove c’è una moschea con cupola e minareto ci sono processi di integrazione in corso che aiutano sia la popolazione autoctona che i nuovi cittadini di fede islamica a trovare una convivenza civile e il mutuo rispetto per costruire una società sana».
Che ne pensa di questa Italia sempre più a destra? È una minaccia all’interazione culturale e religiosa?
«La questione non è destra o sinistra, ma il riconoscimento dei diritti costituzionali che sia per le comunità islamiche o per tutte le altre comunità. Quello che ci auguriamo è che ci sia una presa di posizione che parte dal senso di responsabilità, che sia un governo di destra o sinistra, per creare maggiore inclusione. È necessario far sentire le comunità parte integrante della società italiana perché abbiamo bisogno di costruire insieme l’Italia del futuro che va fiera della propria cultura e identità nella sua pluralità».
Passando un attimo al conflitto in Medioriente, lei è stato da sempre in prima linea per il dialogo interreligioso. La filosofa Leela Ghandi, intervistata da «il T», ha dichiarato che «mai come ora c’è bisogno di non violenza». È d’accordo?
«Abbiamo chiesto il cessate il fuoco dall’inizio del conflitto e la ripresa dei negoziati per una pace giusta partendo dal riconoscimento dello stato della Palestina. Il Medioriente ha bisogno dell’intervento della comunità internazionale che deve esigere il rispetto del diritto internazionale. Due terzi delle vittime sono donne e bambini. Oltre 15mila bambini sono stati uccisi in pochi mesi nella Striscia di Gaza. L’orrore che viene da quella terra deve interrogare le nostre coscienze su quanto stiamo facendo».