L'INTERVISTA
venerdì 15 Dicembre, 2023
di Gabriele Stanga
«Mi sono aggrappato alla convinzione di poter cambiare le cose». Così Patrick Zaki afferma di aver resistito al periodo passato in carcere. Un calvario durato quasi due anni, dal 7 febbraio 2020 all’8 dicembre 2021, per poi continuare in sede processuale fino al 18 luglio 2023, prima con la condanna a tre anni di carcere, poi con la grazia concessagli dal presidente egiziano Al Sisi. Zaki sarà ospite dell’Università di Trento nella giornata di oggi, per una conferenza sul tema delle libertà accademiche, nel corso della quale presenterà anche il suo libro “Sogni e Illusioni di libertà. La mia Storia”, edito per La nave di Teseo.
Nel suo intervento all’università di Trento parlerà di libertà accademica e diritti umani, quali saranno i punti focali del suo discorso?
«Nella conferenza di domani faremo il punto sulle libertà accademiche e il loro stato attuale, in Medio Oriente come nel resto del mondo. Ci concentreremo prima sulla mia liberazione e su come è arrivata. Io combatterò per i diritti umani e accademici fino al mio ultimo giorno di vita. Il mio scopo è che ognuno possa essere libero di dire ciò che pensa in ogni luogo e momento. Al momento, anche negli Stati Uniti, molti accademici vengono licenziati per le loro posizioni politiche, specie se a favore della Palestina. Nella mia esperienza, l’Italia mi ha sempre dato la possibilità di esprimermi e mi ha mostrato pieno supporto durante la mia prigionia».
A quale pensiero si è aggrappato durante il periodo in prigione?
«Ho resistito perché sapevo di essere prigioniero in quanto parte dell’opposizione politica e perché sono convinto che chiunque voglia cambiare realmente le cose sotto una dittatura, corra il rischio di essere arrestato. Se il mio arresto è servito a porre l’attenzione sulle condizioni dei prigionieri di coscienza in Egitto, ho raggiunto il mio scopo e ho apportato un cambiamento. Molti prigionieri di coscienza sono stati rilasciati dopo il mio caso».
Di recente il ministro degli esteri Tajani ha dichiarato in un’intervista di supportare la creazione di uno stato della Palestina che riconosca Israele e sia da Israele riconosciuto. Cosa pensa al riguardo?
«Io penso che non si debba tanto guardare alle dichiarazioni di fronte ai media, ma alle prese di posizione ufficiali, espresse nelle votazioni a livello internazionale. La posizione concreta è che l’Italia ha scelto di non votare a favore del cessate il fuoco. Una cattiva scelta, perché non aiuta a fermare la strage di civili. Parliamo di 500 bambini, 1200 donne e 82 giornalisti uccisi negli ultimi due mesi. Recentemente è stata chiesta una nuova tregua e il governo italiano ha mantenuto la stessa posizione».
In Medio Oriente, nel periodo tra il 2008 e il 2011 con le Primavere Arabe, c’è stata una grande spinta verso la democratizzazione. Poi, cosa non ha funzionato?
«Io credo che non ci siano le infrastrutture politiche necessarie a sostenere il cambiamento. Vogliamo democrazia, libertà di parola, ma non sappiamo come sviluppare ciò attraverso una forma istituzionale. Attribuisco la responsabilità a chi non ha lavorato affinché ci fosse una struttura istituzionale in grado di guidare gli Stati arabi verso forme di governo più democratiche».
Come commenta le elezioni in Egitto?
«Non c’è un’opposizione e un candidato alternativo. L’esito era ovvio per tutti».