La ricerca

giovedì 10 Agosto, 2023

Crisi climatica, la pernice bianca in fuga dal caldo. Salita in quota di 500 metri

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Dopo la scoperta il Parco naturale Adamello Brenta ha avviato il Progetto BioMiti per studiare l’impatto su altre specie

Nuovo progetto per il Parco naturale Adamello Brenta che studia il cambiamento climatico in alta quota attraverso l’ecosistema di insetti e animali. Così è stato presentato il «Progetto BioMiti» in collaborazione con il Muse, il Museo civico di Rovereto, l’Università di Sassari, di Padova e di Pavia, che, attraverso un gioco di parole, studia ciò che è vivo nella fascia alto-alpina tra i 1900 e i 2900 metri di altitudine. Ciò che è «bio» insieme a una parte mitologica («miti») che spiega i «superpoteri» – così li ha definiti il ricercatore Marco Armanini – grazie ai quali flora e fauna riescono a sopravvivere adattandosi ai cambiamenti. Il progetto è stato presentato da Armanini e Andrea Mustoni durante gli appuntamenti «Martedì del Parco» presso la Casa Geopark di Carisolo. Uno studio che cerca anche di capire le interazioni e il coinvolgimento attivo dell’uomo che frequenta le montagne, elemento che «è parte della soluzione e non solo parte del problema – sostiene il presidente del Pnab Walter Ferrazza –. Per questo sono stati promossi tanti progetti per studiare il cambiamento da tutti i punti di vista, compresa la nostra presenza, con la consapevolezza di poter fare meglio un domani e di essere uno dei paladini nella lotta contro i cambiamenti climatici».
Il progetto BioMiti è una ricerca che vuole dare una visione complessiva. Un lavoro anche di sinergie tra diverse strutture di studi scientifici che hanno contribuito e implementato con le loro molteplici conoscenze un quadro generale che va oltre il progetto stesso. Il tutto è iniziato sei anni fa, ma ancora prima, nel 2012, c’è stato un primo approccio merito di un altro studio sulle pernici bianche in cui si sono resi conto che ormai non viveva più alla stessa altitudine. L’uccello infatti si è alzato di 500 metri rispetto al normale, quindi è arrivato a 2900 metri sulla Cima Grostè. Era evidente che, oltre a questa specie, ve ne erano altrettante che caratterizzavano un ambiente insolito. «Una consapevolezza che questo ambiente estremo, insieme a molti altri, è più sensibile ai cambiamenti climatici e al riscaldamento globale – sostiene Armanini –. Proprio perché lassù il cambiamento dei parametri climatici va a disarticolare gli equilibri che si sono creati e che l’evoluzione ha impostato nel tempo». Gli effetti sono evidenti nella natura e ancora di più confrontando i dati degli anni precedenti.
La ricerca non si è limitata a una sola specie ma a tutto l’ecosistema che compone l’ambiente alpino, ispirandosi allo storico naturalista Alexander von Humbolt, primo ad aver intuito che tutti gli elementi dell’ecosistema sono collegati gli uni agli altri. Per questo il progetto ha riunito esperti di diverse discipline per confrontarsi e ricercare i metodi di monitoraggio adatti a soddisfare ogni esigenza. Monitoraggio che è avvenuto negli stessi posti e i cui dati sono stati poi anche confrontati tra loro e con quelli delle ricerche degli anni passati, avvalorando l’ormai sentenza riguardo i cambiamenti climatici.
Partendo dal livello geomorfologico delle Dolomiti di Brenta, lo studio ha preso parte dal substrato roccioso e dalle forme del paesaggio date dai rock glacier e dalla presenza della Dolomia che crea il fenomeno chiamato carsismo. Gli esperti dell’Università di Padova hanno mappato gli elementi geomorfologici, analizzandoli e permettendo quindi di aggiungere dettagli adeguati a capire come reagiscono gli esseri viventi al paesaggio che li circonda. Le forme del paesaggio, inoltre, determinano anche ambienti diversi offrendo differenti condizioni di vita: dai microambienti nelle fratture tra le rocce alle vallate più grandi. Attraverso sensori e computer in ogni area di studio, si è tenuto conto anche della temperatura dell’aria e del suolo per relazionare l’andamento termico e le variazioni con la flora e la fauna presa in esame in un secondo momento. Questi elementi sono i fattori principali che vanno a incidere sulle forme del paesaggio e contribuiscono alla formazione del suolo, anello di congiunzione tra gli ecosistemi dei microrganismi e della vita in superficie. Dei microrganismi si sono occupati invece gli esperti dell’Università di Bologna, mentre l’apparato floristico è stato studiato dagli esperti del Museo civico di Rovereto. Passando poi agli invertebrati e ai lepidotteri notturni, esaminati insieme agli esperti del Muse, ci si è resi conto di come questo sia un altro patrimonio molto vasto in parte ancora da scoprire. Questi contribuiscono molto al ciclo di vita normale, non solo per l’impollinazione ma anche come fonte di cibo per altri animali come i chirotteri, specie protetta a livello europeo, che si nutrono delle falene. Particolarità e allo stesso tempo allarme in questi studi è l’innalzamento di quota di molteplici specie animali, compresi gli invertebrati, che stanno cercando di adattarsi al riscaldamento globale. Questo potrebbe anche essere causa di estinzioni di alcune specie. Ma se da un lato si sono scoperti molti aspetti allarmanti di questi cambiamenti, dall’altra si sono scoperte specie nuove, come una piccola falena notturna. Per lo studio faunistico dei vertebrati (lepri, ermellini, camosci e altri) hanno contribuito gli esperti dell’Università di Sassari studiando le tracce che lasciano solitamente tra i 1009 e i 1900 metri. Lo stesso anche per gli uccelli, attraverso un monitoraggio al canto. Diverso approccio quello delle fototrappole che sono state posizionate sulla Cima Grostè e hanno dato molteplici dati sulla presenza di otto specie tra cui un ermellino, insolito in questi ambienti.
Una fotografia, dunque, molto dettagliata di questi ambienti che caratterizzano le Dolomiti di Brenta con diverse sorprese e scoperte che hanno dato modo di riflettere su ciò che accade più in alto sulle nostre montagne.