Terra Madre

domenica 25 Agosto, 2024

Mustoni: «Caldo in quota, ora i larici si trovano a 3.000 metri»

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L'esperto: «Il riscaldamento modifica gli ecosistemi. Cambiano le abitudini degli animali, in fuga dal troppo calore»

Può un avvistamento essere contemporaneamente fonte di meraviglia e preoccupazione? Forse sì quando si tratta di un fenomeno unico nel suo genere, mai documentato prima, che regala allo sguardo uno spettacolo naturale inedito, ma che dall’altra parte racconta degli inesorabili cambiamenti agli ecosistemi causati dal riscaldamento climatico. È questo il caso del larice della Lobbia Alta.
L’avvistamento
Questo arbusto è stato fotografato sulla montagna del gruppo dell’Adamello a una quota che si pensava impossibile. A darne notizia sono stati i canali del Parco naturale Adamello Brenta. «Nuovo record per il Parco Naturale Adamello Brenta – scrivono sui social – Nell’ambito dei monitoraggi floristici del progetto “Flora di Vetta” della Fondazione Museo Civico di Rovereto in collaborazione con i Parchi Naturali del Trentino, è stato trovato un esemplare di Larix decidua (larice comune, ndr) alto 35 cm a 3.130 metri sul livello del mare che sembra essere il record altimetrico della specie sulle Alpi». Il Parco spiega poi che «dallo studio è emerso che in 86 anni le specie presenti su questa vetta sono triplicate, passando da 17 a 51, con un’accelerazione negli ultimi anni. Questo denota un arricchimento della flora sommitale legato al riscaldamento globale».
«Il cambiamento accelera»
Che pur nella sua meraviglia si tratti di un avvistamento preoccupate è anche l’opinione di Andrea Mustoni, responsabile del settore ricerca scientifica e divulgazione del Parco Adamello Brenta. «Bisogna però fare una premessa – dice Mustoni – Oggi siamo molto più attenti nei monitoraggi ad alta quota rispetto al passato. E così scopriamo quindi cose che un tempo non venivano alla luce». Questo non significa però che non si stia registrando un cambiamento rispetto al passato. «Abbiamo raccolto una mole importante di dati che ci confermano che il cambiamento climatico è in atto e sta modificando gli ecosistemi». E gli effetti in alta montagna si vedono prima che altrove. «A basse quote i cambiamenti sono meno facili da osservare. Per questo l’alta montagna diventa un osservatorio privilegiato per capire cosa stia succedendo. Attraverso il progetto “Biomiti” e “Flora di vetta” in collaborazione con il Museo Civico di Rovereto e altri enti il Parco sta dando un contributo importante per comprendere la situazione». Quello che emerge dalle ricerche è una fotografia in divenire degli ecosistemi alpini, come una polaroid appena scattata in cui si scorgono le forme, ma non ancora il disegno completo. «Stiamo osservando l’innalzamento di quota del larice, ma non solo – spiega Mustoni – Anche il bosco in generale si sta alzando di quota, lo fanno il faggio e l’abete rosso. Discorso simile per le specie animali. È come un mosaico le cui tessere sono state mosse e che si sta ancora ricomponendo». Sarebbe però illusorio pensare che si possa trattare di una semplice ricomposizione in cui tutte le tessere, di flora e fauna, ritroveranno la loro posizione nel disegno complessivo. «Ci preoccupa particolarmente il fenomeno per cui specie animali e di flora stanno continuando a salire di quota. Perché sappiamo che ad un certo punto non ci sarà un posto più in alto in cui andare. È quella che chiamiamo “trappola sommitale” e che rischia di avere un costo significativo in termini di biodiversità. Lo stiamo osservando, per esempio per quel che riguarda il gallo cedrone, la pernice bianca e l’arvicola delle nevi. Specie che stanno salendo sempre più in altro mentre altre, come l’arvicola rossastra o quella campestre, stanno prendendo possesso delle quote che prima appartenevano loro. Il rischio di estinzione c’è».
La risposta della fauna
Se la flora ha tempi più lunghi, sono le specie animali a raccontare più rapidamente i tentativi di adattamento al cambiamento climatico del mondo naturale. «Gli animali hanno gambe e ali con cui spostarsi velocemente. E stanno rispondendo a questi periodi più caldi utilizzando in maniera differente, e direi sorprendente, le nostre montagne – spiega Mustoni – Non solo salendo di quota. La sensazione è che nelle valli del Trentino, occasionalmente, i camosci, per esempio, scendano di quota, anziché salire, per cercare sollievo nei canaloni del bosco». Un’osservazione che racconta di come le risposte naturali possano essere imprevedibili e forse anche controintuitive. «Non è un’evidenza scientifica, mancano studi approfonditi, ma la sensazione è che gli animali stiano usando diversamente lo spazio, alla ricerca di due risorse sempre più importanti: acqua e frescura».