Sociale
sabato 12 Ottobre, 2024
di Simone Casciano
Il coraggio alla cooperativa sociale La Rete, che da tanti anni si occupa delle persone con disabilità. non è mai mancato, forse però mai come questa volta un loro progetto è stato davvero un salto nel vuoto: senza sapere se l’atterraggio sarebbe stato morbido o meno. La fortuna, o meglio, l’impegno e la fatica, hanno fatto sì che i «Custodi di comunità» fossero un successo e non era scontato. Sì perché l’ultimo progetto della cooperativa, i cui risultati sono stati raccontati in un evento pubblico ospitato dal Comune di Trento a Palazzo Geremia, ha davvero effettuato una «rivoluzione copernicana» nel modo di lavorare con le persone con disabilità: non più al centro del sistema solare e con i servizi che ruotano loro attorno, ma invece operatori anch’essi pronti ad aiutare chi avesse più bisogno, pronti a farsi loro «erogatori di servizi». Tutto questo è «Custodi di comunità», un progetto nato prendendosi cura di una piccola aiuola in San Pio X e che negli anni diventato molto di più: un’irresistibile squadra di persone con disabilità, volontari e operatori che partono ogni settimana per aiutare anziani, curare il verde comune e quello delle scuole, svuotano cantine e soffitte, recuperano libri e vestiti che vanno poi nelle casette del book-crossing o nei magazzini di altri enti di volontariato trentino. Una straordinaria rete che si è intrecciata ad altre relazioni di volontariato, potenziandole entrambe.
«La rete ha sempre cercato di sperimentare vie nuove – ha esordito il direttore de La Rete Mauro Tommasini – Non tanto per voglia di novità, ma per cogliere quell’essenza di traiettorie vitali che sono le vite delle persone. Ce lo dicono anche le carte importanti per il nostro agire: la Carta Onu per i diritti delle persone con disabilità e la più recente legge 62 che dice “ogni persona con disabilità ha diritto a un suo progetto di vita”. È da queste direttrici che si muove un progetto come quello dei custodi». «Raccontando questo progetto celebriamo una grande comunità – continua Eleonora Damaggio, responsabile del servizio volontariato de La Rete – Questa storia nasce da un cambio di prospettiva che come educatori sentivamo importante fare. Avevamo esplorato le potenzialità delle persone con disabilità in tanti ambiti, ma mancava qualcosa. Mancava l’idea che loro potessero fare qualcosa che non fosse per sé stessi, non più fruitori di servizi, ma erogatori». Da qui è nato il progetto, che ha avuto le sue difficoltà, «la gente prendeva tempo, tentennava perché non voleva dirci di no, ma il fragile che aiuta un altro fragile è visto con sospetto», ma poi ha preso il volo. «Le persone con disabilità si sono trovate ad essere volontari, quasi ironico in una realtà, la nostra, che ne conta più di 200. E i volontari non sono mica scomparsi, perché non lo fanno nemmeno le fragilità, e sono rimaste a fianco ai loro amici, accompagnandoli in questa avventura. Un percorso che ha sfidato le persone con disabilità, ma le ha anche fatte sentire responsabili, ha fatto sentire loro che qualcun altro aveva bisogno di loro e così si sono sentite riconosciute come cittadini, riconosciute come persone con disabilità, che non devono nascondere il limite, ma che dimostrano che non le ferma».
Poi è stato il momento, accompagnati dagli operatori responsabili del progetto, di sentire i protagonisti. Sebastiano, Giovanni, Elena, Andrea, Gino, Augusto, Marylin, Nicola, Shamir, Roberto, Diego, Alice e Ivo, i «Custodi di comunità» vengono chiamati uno a uno sul «palco» accolti da applausi scroscianti, volti sorridenti ed emozione. Non ci sono tutti, la fragilità e l’emozione significa farcela su alcune cose, meno su altre e va bene così. «I custodi si trovano il lunedì e il mercoledì, ma agiamo anche in altre occasioni – racconta Giordano Pedrini, uno degli educatori che cura il progetto – Ci dividiamo in squadra e partiamo per i luoghi dove siamo richiesti». Pedrini c’era quando tutto questo è nato. «Nel 2016 abbiamo sottoscritto un patto di collaborazione con il Comune e ci siamo presi in carico un angolo di verde sulla passeggiata lungo il Fersina». Presto quel pezzetto di verde è diventato un moltiplicatore di relazioni e opportunità. «Con il giardino degli aromi abbiamo approfondito il tema delle erbe aromatiche, le persone con disabilità si sono dimostrate cittadini attivi, prendendosi carico dello spazio. Abbiamo incontrato il vicinato, che nel tempo ha preso l’abitudine di raccogliere foglie aromatiche.
Poi nel 2021 con le scuole “Bronzetti” abbiamo stipulato un nuovo patto e due classi di seconda hanno iniziato a collaborare. In questo contesto le persone con disabilità sono diventate esperte e responsabili a loro volta del lavoro dei ragazzi». «Io sono un esperto sulle piante – lo interrompe entusiasta il custode Andrea – Spiegavo loro come tagliare bene l’erba. Se vedevo dei mozziconi glieli facevo raccogliere e stavo attendo alla differenziata». Dalla cura del verde a quella del vicinato. «Abbiamo iniziato con via Taramelli, dove c’è la sede della cooperativa e poco a poco ci siamo allargati. Grazie al servizio beni comuni, che ci ha dato delle casacche per essere visibili, le persone con disabilità possono farsi vedere nella loro potenzialità. E ci tengono tanto, vogliono conoscere i frutti del loro lavoro. Abbiamo comprato una bilancia e da maggio fino a pochi giorni fa, con pinze, sacchetti e carrello, avevamo raccolto 50kg di rifiuti urbani nel quartiere». Il passo verso altre realtà sociali è stato quindi breve. «Una delle prime collaborazioni è stata con il Condominio Solidate, dopo 8 anni per noi è una seconda casa». «Facciamo le pulizie del giardino e della sala grande – spiega il custode Roberto – E poi ci offrono la merenda». Poi un passo più coraggioso ancora, la cura di altre persone. «Il percorso di supporto alle persone anziane è iniziato nel 2021 con Casa La Vela – racconta Katia Piffer, l’educatrice che segue i custodi – Andavamo lì portando compagnia, facendo attività con loro. È stato un primo esperimento, anche con i suoi momenti imprevedibili. Ivo (uno dei custodi, ndr) aveva promesso alle signore che le avrebbe portate a bere un caffè e una volta è riuscito a convincere il volontario e ce li siamo ritrovati tutti al bicigrill». Da lì sono arrivate le assistenti sociali che curano Spazio Argento. «Ci hanno dato fiducia, abbiamo aiutato 8 persone in vari settori. Ad alcune facciamo la spesa, per una signora che non può più uscire portiamo fuori il cane, Napoleone». «Ci portano tanta gioia – racconta «Zia Pia» una delle signore a cui i custodi fanno visita – Noi anziani abbiamo bisogno del loro sorriso e sono veramente bravi. Ormai nel quartiere li conoscono tutti. Quando vado al supermercato a fare la spesa le cassiere mi dicono: “Prende tante cose? Lasci pure qui il carrello che sappiamo che dopo arrivano i ragazzi”. Grazie, grazie di cuore». E i progetti dei custodi non si fermano qui: Rsa, scuole, economia circolare. Le realtà in cui trovano un loro spazio sono in continuo aumento e mentre cresce la fiducia di altri nei loro confronti anche le persone con disabilità scoprono di cosa sono capaci. «Per nostro figlio è stata un’esperienza trasformante – racconta il genitore di un custode – È stata l’occasione per rendere finalmente visibili i nostri figli e la risposta della comunità ha superato ogni aspettativa. Grazie a questo progetto nostro figli sta maturando la consapevolezza che non è la disabilità a definirlo, ma il suo agire. Così la parola inclusione non è più una parola sul vocabolario, ma una realtà che si costruisce giorno dopo giorno».
«I custodi di comunità sono un’esperienza rara – dice l’esperto di welfare Gino Mazzoli, tirando le somme – Che risponde a un problema del nostro tempo: dopo il Covid ci sono sempre più persone che stanno male, anche psicologicamente, e che hanno bisogno di assistenza. La risposta a questa diagnosi è che la comunità deve prendersene cura». Un’intuizione tanto semplice quanto rivoluzionaria: una città più sicura è fatta da una comunità che si cura. «Questo è un progetto etico e se voglia anche politico, perché in un mondo di persone sempre più sole, voi andate e le incontrate».
Proprio le relazioni sono il centro, il cuore pulsante di questo progetto, c’è un’immagine che lo racconta bene: durante l’estate i custodi si prendono cura di piante e fiori della scuola elementare «Nicolodi» dell’Istituto comprensivo Trento 3. I bambini del resto sono in vacanza e qualcuno deve curare il verde affinché sopravviva all’estate. Quando a settembre le campanelle tornano a suonare, sono di nuovo i piccoli alunni a raccogliere la responsabilità. «C’è un’immagine che voglio darvi se non mi commuovo – racconta la dirigente dell’Istituto Comprensivo Trento 3, Lina Broch – Quando a settembre sono arrivata a scuola le collaboratrici scolastiche mi hanno detto “venga dirigente, guardi dove abbiamo messo gli innaffiatoi”. Si perché quegli innaffiatoi sono ormai al centro di una cerimonia di passaggio tra i nostri aluni e le persone con disabilità. E ormai hanno un carico simbolico talmente grande, che un oggetto così banale ha un suo posto speciale nella nostra scuola, perché racconta del posto speciale che hanno costruito i custodi di comunità».