L'esperto
mercoledì 18 Settembre, 2024
di Tommaso Di Giannantonio
Mescolare intelligenza artificiale (AI), scienze computazionali e scienze sociali per prevedere e capire i fenomeni criminosi, dalla violenza in Messico alle infiltrazioni delle mafie, fino allo studio degli omicidi. È quello su cui si cimenta ogni giorno Gian Maria Campedelli, criminologo e ricercatore dell’unità MobS (Mobile and social computing lab) della Fondazione Bruno Kessler, che lo scorso 11 settembre, a Bucarest, è stato insignito dell’«Early Career Award 2024» dall’European society of criminology (Esc), la più importante società scientifica europea dedicata allo studio di fenomeni e comportamenti criminali.
Qual è il contributo dell’intelligenza artificiale?
«L’intelligenza artificiale aiuta a scovare ed evidenziare, all’interno di una grande mole di dati, schemi, comportamenti e traiettorie che non sono riconoscibili né a occhio nudo né attraverso metodi tradizionali. Il contributo dell’intelligenza artificiale si declina in due modi: il primo consiste nella possibilità di prevedere fenomeni criminosi; il secondo, nella possibilità di comprendere meglio il perché dei fenomeni, sfruttando l’enorme capacità degli algoritmi di mettere ordine e fare sintesi di comportamenti ricorrenti».
Può farci un esempio?
«Uno dei progetti sul quale sto lavorando è un sistema di machine learning in cui abbiamo analizzato l’allocazione delle risorse dei bilanci dal 2001 al 2020 e il profilo dei sindaci (se è laureato, se è nato nel paese in cui governa) e delle liste afferenti dei Comuni italiani per prevedere il rischio di infiltrazione della criminalità organizzata nella politica. Siamo partiti dal presupposto teorico secondo cui le mafie tendono a infiltrarsi nei Comuni per ottenere soldi pubblici e poi destinarli ad attività apparentemente legittime».
Cosa è emerso sui comuni trentini?
«Purtroppo non sono disponibili i dati elettorali del Trentino Alto Adige, come per altre Regioni a statuto speciale. Sarebbe importante riuscire a ottenere quei dati in futuro per mappare il fenomeno, in considerazione di diverse evidenze di presenza di gruppi mafiosi nel territorio, soprattutto in termini di infiltrazione nell’economia legale. Vista la tendenza delle organizzazioni a usare sempre meno la violenza (l’Italia ha uno dei tassi di omicidi più bassi al mondo), è fondamentale mappare le loro attività più silenziose».
In questi giorni a Trento si è aperto un dibattito sul livello di sicurezza del quartiere delle Albere. Quali sono gli schemi ricorrenti della microcriminalità?
«La legge per eccellenza della microcriminalità urbana è la legge di concentrazione del crimine: la criminalità non è distribuita casualmente nello spazio e nel tempo, ma esistono precisi luoghi e orari in cui avvengono i reati. Ci sono delle ricorrenze che potrebbero essere sfruttate attraverso modelli rigorosi di previsione del crimine. In diverse città italiane vengono utilizzati alcuni software di polizia predittiva, ma sono sempre software opachi, cioè non sono aperti al rigoroso controllo scientifico. Il che pone dei dubbi sull’efficacia di determinati sistemi. In Italia, ahimè, le forze dell’ordine non sono propense alla diffusione aperta dei dati. Se ci fosse un maggiore dialogo con la comunità accademica le nostre città potrebbero essere più sicure».
Qual è il valore aggiunto del dialogo tra diverse discipline?
«Viviamo in un’epoca in cui abbiamo a disposizione sempre più dati quantitativi e qualitativi. Il dialogo tra discipline è la chiave fondamentale affinché le scienze sociali possano avere un impatto pratico. La contaminazione tra scienze computazionali, scienze sociali e intelligenza artificiale può essere declinata in politiche di contrasto e prevenzione dei fenomeni. Purtroppo nelle scienze sociali, soprattutto tra le generazioni più datate, ci si scontra con una certa resistenza a questo approccio. Ma il ruolo dello scienziato sociale rimane centrale, in quanto interprete dei numeri».
Due dei progetti che segue riguardano fenomeni oltreoceano, ce ne può parlare?
«Insieme a due colleghi messicani abbiamo stimato la dimensione degli affiliati ai cartelli messicani: un dato mai conosciuto. E abbiamo anche simulato gli effetti di politiche di riduzione della violenza. Lo studio è stato pubblicato lo scorso anno su Science. A marzo, invece, ho pubblicato uno studio, pubblicato su Criminology, in cui ho stimato la disparità razziale negli Usa in termini di risoluzione degli omicidi. In sintesi, è emerso che un omicidio con vittima afroamericana ha una probabilità di essere risolto più bassa del 3,4-4,8%».