L'intervista
venerdì 2 Agosto, 2024
di Simone Casciano
«L’orso non è il problema» esordisce Paolo Ciucci, professore associato al dipartimento di biologia dell’Università La Sapienza di Roma e tra i massimi esperti di zoologia e fauna selvatica in Italia. Detta così sembra una frase ad effetto, ma Ciucci si spiega subito: «Il problema non è il conflitto tra l’uomo e l’orso, ma tra l’uomo e l’uomo su come gestire il nostro rapporto sull’orso». Secondo l’esperto per arrivare ad una gestione funzionale del fenomeno serve uno sforzo, un passo avanti di tutte le parti in causa, per arrivare ad un compromesso, «che poi è il compito della politica». Sforzo che potrebbe essere canalizzato verso un obiettivo comune: un nuovo piano di gestione.
Professore cosa intende quando dice che «non è il conflitto con l’orso il problema»?
«Voglio dire che il nostro problema è il conflitto nella società su come gestirlo. Sarebbe compito della politica mediare questo conflitto e trovare soluzioni accettabili. Qui è evidente che vada fatta gestione dell’elemento umano, prima ancora dell’elemento orso. Il problema che emerge in Trentino è che ogni volta che si fa o non si fa un intervento si va in tribunale. È come vivere in un condominio in cui si litiga su ogni cosa, perdendo il senso del dialogo. Per questo serve aumentare la comunicazione, aumentare i processi compartecipativi, mettendo allo stesso tavolo la Provincia, il ministero, Ispra, ma anche le associazioni animaliste, i cacciatori e i residenti. Orso e lupo ci pongono questa sfida».
Che idea si è fatto della gestione in Trentino?
«Ci tengo a dire che non vivo lì e quindi sono relativamente titolato a esprimermi. Poi è ovvio che ho sempre seguito il progetto con interesse e ho molti amici e colleghi che se ne occupano con cui mi confronto. Direi che è evidente che si tratta di una sfida molto elevata e forse ci si è un po’ accomodati, qualche anno fa, una volta che si è constatato che il progetto aveva funzionato dal punto di vista della dinamica di ripopolazione e invece proprio lì si dovevano aumentare le attenzioni, non solo verso l’orso ma anche verso l’uomo. Il progetto di reintroduzione è stato un successo dal punto di vista biologico, l’unica dimensione che si è rivelata peggiore del previsto è quella culturale. Non si può lasciare la situazione in mano alla propaganda politica, ci vuole impegno per gestire il conflitto umano e sociale».
E come possiamo fare?
«Uno spunto ce lo avrei: la riscrittura del Pacobace (il piano di azione che regola la gestione dell’orso in Trentino attraverso prevenzione, gestione dei conflitti ecc, ndr). Da più parti si dice che il documento va aggiornato, allora lo si faccia attraverso un percorso partecipativo, includendo tutte le parti sociali e superando gli antagonismi. La rivisitazione del Pacobace potrebbe essere lo spunto per prendere tutti i conflitti che ci sono, metterli intorno a un tavolo, e canalizzare gli sforzi verso un nuovo documento frutto di un compromesso raggiunto concentrandosi sull’obiettivo comune. Un documento da costruire avendo ben presenti le specificità del territorio di cui stiamo parlando e la sua densità di popolazione. Il Trentino non è il parco dello Yellowstone, l’uomo qui deve poter intervenire».
Come si potrebbe realizzare?
«Sarebbe una grande sfida sicuramente. Bisognerebbe partire decidendo quali sono gli obiettivi che ci si vuole dare. Identificando un numero massimo di danni sopportabili, così come di densità della popolazione animale sopportabile. Già fare questo sarebbe un grande passo. Poi bisognerebbe identificare le procedure gestionali adeguate per raggiungere questi obiettivi. Alla fine la responsabilità è della politica, com’è giusto che sia, che deve ascoltare tecnici, esperti e portatori di interesse, ma alla fine prendere le decisioni. Perché siano il più condivise possibili va posta l’enfasi sui rapporti umani».
Genovesi ha rilanciato sull’uso dei radiocollari, che ne pensa?
«Il collare aumenta sicuramente le possibilità di azioni di dissuasione di successo, ma fa di più, permettono anche di fare ricerca. Così facendo prendiamo due piccioni con una fava. Con i collari conosciamo meglio i comportamenti degli orsi. Informazioni che sono importanti per le attività di gestione, ma anche per raccontare l’orso alle persone e si torna al tema culturale che sta alla base di tutto. Sulla dissuasione però voglio dire anche un’altra cosa».
Prego.
«Il condizionamento negativo è molto importante, ma non è detto che funzioni. Faccio un esempio: se in famiglia abbiamo un cane e io decido di non dargli cibo dal tavolo, il mio condizionamento negativo non funzionerà, se gli altri famigliari invece lo fanno. Per fare dissuasione negativa servono quindi squadre formate pronte a intervenire ogni volta che un orso si avvicina a un cassonetto. Allora è ancora più semplice capire che l’orso arriva in paese perché trova cibo facile e bisogna evitare questo. Cassonetti anti-orso, non lasciare frutta in giro, recintare i frutteti. Sono buone pratiche fondamentali e che costruiscono cultura della prevenzione».
L’abbattimento è un tabù?
«No certo, io adoro gli orsi, ma non dobbiamo creare icone. Ogni anno uccidiamo migliaia di cinghiali, animali intelligentissimi e nessuno dice nulla. Capisco che l’orso sia un simbolo, ma non ha maggiore dignità della volpe o del capriolo. Quindi non è un tabù, ma rimane una scelta politica, non scientifica, e quindi etico sociale ed è giusto che le persone dicano la loro. L’orso è patrimonio dello stato, non appartiene solo a qualcuno. Per questo è giusto trovare norme salutari di coesistenza. Se un orso pone un rischio che si decide essere inaccettabile poi bisogna stabilire che fare. E qui torno a un Pacobace partecipativo».
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