Il caso
martedì 16 Gennaio, 2024
di Donatello Baldo
«Da parte della Provincia non c’è nessuna iniziativa strutturata nelle scuole sul tema de contrasto alla violenza di genere o sulle pari opportunità tra uomo de donna». Lo dice il presidente dell’associazione trentina dei presidi Paolo Pendenza. Ed è proprio così: i famosi corsi di educazione alla relazione di genere, cancellati dalla prima giunta Fugatti — e tacciati di diffondere la vituperata teoria gender — non sono stati sostituiti con nessun’altra iniziativa che coinvolgesse gli studenti trentini. Qualche progetto sparso, di iniziativa delle singole scuole o di qualche associazione del Terzo settore, ma — come ha sottolineato Pendenza — «niente di strutturale».
Prima c’erano 82 corsi attivati
Quelli cassati da Fugatti erano corsi pensati appositamente per gli studenti. Si trattava di un progetto costruito in modo scientifico dall’assessorato provinciale, da Iprase, dalla Commissione Pari Opportunità e dal Centro interdisciplinari Studi di genere dell’Università di Trento. Comprendeva cinque diversi percorsi. Due moduli, sulla decostruzione degli stereotipi di genere, per docenti della scuola primaria e secondaria. Un terzo modulo su ruoli, differenze e stereotipi per studenti delle superiori, con incontri prima e dopo con i genitori. Un quarto modulo sull’educazione a relazioni e differenze per studenti e docenti, sempre per le superiori e sempre con il coinvolgimento dei genitori. L’ultimo modulo, il quinto, su differenze e stereotipi di genere, rivolto esclusivamente ai genitori. Prima della loro cancellazione, nell’anno scolastico 2017/2018, raggiungevano 23 istituti trentini, con l’attivazione di 82 corsi. Con l’obiettivo, nel tempo, di intercettare la totalità di studenti e studentesse.
Ora 11 corsi in quattro anni
Nel 2019, come ricordato, la cancellazione dei corsi. Con la promessa, da parte dell’allora assessore all’Istruzione Mirko Bisesti, di sostituire quelli esistenti — criticati per i loro contenuti — con altri percorsi. Di fatto, però, si è cambiata impostazione: da parte di Provincia, o Iprase, nessun progetto dedicato agli studenti, se non — su bando — iniziative degli enti del Terzo settore. Questi i numeri: nel 2020 un solo progetto, nel 2021 tre progetti, nel 2022 quattro progetti, nel 2023 si torna a tre progetti. In quattro anni undici progetti, una media di 2.75 progetti all’anno a fronte degli 82 percorsi di educazione alla relazione di genere precedentemente in atto.
Ma sul tema della violenza di genere, in modo particolare, nessun «focus» specifico, solo qualche piccola attività per i docenti.
Un progetto per insegnanti
Tra le iniziative di Iprase, si trova — ora alla terza edizione — il progetto dal titolo «Scuola e violenza di genere, conoscere, accogliere e prevenire». Ma non rivolto agli studenti, bensì a docenti e assistenti educatori di scuola primaria e secondaria, con il coinvolgimento di assistenti sociali e del Procuratore della Repubblica. Quattro lezioni centrate soprattutto sul cogliere segnali di violenza e farsi carico della vittima: si tratta quindi di prevenzione secondaria, che arriva ex post e permette di riconoscere i segni e i segnali di comportamenti violenti. Ottima proposta, ma differente dalla prevenzione primaria, che ha l’obiettivo di evitare il problema, il fatto. Educa quindi a fuggire da situazioni di violenza o a non metterle in atto.
Scarsa partecipazione
L’iniziativa di Iprase, nelle sue prime due edizioni, ha raggiunto meno di 200 insegnanti, e il conto è presto fatto: nella prima edizione i posti disponibili erano 90, l’anno successivo 100. I docenti trentini sono quasi settemila, senza contare la dotazione organica per l’inclusione scolastica (docenti di sostegno e intercultura) e della formazione professionale.
Violenza di genere, non c’è
Tornando al nuovo metodo — il bando della Provincia, che sostituisce il «pacchetto» completo di corsi ad hoc — si possono leggere anno per anno i vincitori. Realtà meritorie del provato sociale che si sono impegnate nella diffusione delle pari opportunità attraverso numerose iniziative. Che però spesso esulano dalla finalità educativa dedicata ai più giovani: hanno preso finanziamenti progetti come «Madri e madonne delle montagne», «Reda, Rete di Empowerment per Donne Amministratrici», «Pedalare insieme è vita!», «Donna, Famiglia, Sport e…tennistavolo».
Allarme: pericolo gender
Paolo Pendenza ribadisce che «non c’è più nulla di strutturato»: «Ora ogni scuola si organizza in maniera autonoma, per quello che può. Ma quando la giunta precedente, con l’assessora Stefania Segnana, decise di cancellare i corsi di educazione alla relazione di genere, quei corsi non furono rimpiazzati». Si cancellarono quei progetti perché tacciati di diffondere la cultura gender: «Si è fatta una gran confusione su quella mitica ideologia gender. Mitica — afferma Pendenza — perché io non ho mai visto nulla di questo tipo a scuola o nei corsi proposti. Si trattava di spiegare ai ragazzi e alla ragazze che non per forza una donna dovrà fare la casalinga o al massimo l’infermiera, che può essere ingegnera o scienziata. Superati questi stereotipi serve anche a costruire una società di rispetto tra i generi, e leggendo la cronaca di questi giorni ce ne sarebbe davvero bisogno».
Sesso e affetto
Solo sabato scorso — al «T» — Fugatti spiegava che la sua giunta «ha sospeso determinati percorsi, che non trattavano della violenza sulle donne ma che andavano a trattare i temi affettivi e sessuali». E aggiungeva: «A noi questo non andava bene, ma il resto delle attività nelle scuole è rimasto ed è continuato». Si è visto che è rimasto ben poco rispetto a cinque anni fa. Ma — paradossalmente — in quel poco si parla quasi solo esclusivamente di sesso e affetto. I corsi più diffusi e partecipati sono infatti quelli organizzati dall’Azienda sanitaria, centrati su educazione affettiva e sessuale: «EduChiAmo», con una copertura dell’87% degli Istituti (52 Istituti) e 259 classi, circa 5.000 studenti; «Conoscere il consultorio»,
84% di Istituti (46 Istituti), 291 classi, 4.782 studenti.
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